La cruna dell’ago della nuova legge sulle disposizioni anticipate di trattamento

0. Introduzione. – Il 14 dicembre, il Senato (180 voti favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti), dopo un iter parlamentare lungo e articolato, ha definitivamente approvato il disegno di legge sul consenso informato” e le “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT). Il testo si compone di 8 articoli che per un verso declinano la “materia” costituzionale sui rapporti tra vita, libertà, salute e cure, (soprattutto) riconoscendo (o riformulando) diritti/doveri del paziente e del medico, per l’altro, regolano aspetti specifici di questo rapporto (§§ 2-5).

  1. I principi/diritti. – La nuova legge riconosce:

– il diritto (nel limite dei casi espressamente previsti di “presidi” terapeutici/diagnostici obbligatori) alla piena/integrale e permanente libertà del trattamento sanitario, che non può essere iniziato e nemmeno proseguito senza il consenso libero e informato del paziente (art. 1, comma 1);

– il principio che la relazione tra paziente – medico, i cui elementi costitutivi sono la finalità di cura e la fiducia, si basa sul consenso informato, crocevia dell’autonomia decisionale del paziente e della competenza, dell’autonomia e delle responsabilità professionali del medico (sia che agisca da solo che in equipe);

– il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute mediante un informazione completa, aggiornata e comprensibile circa diagnosi, prognosi, benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari che il medico intende attuare;

– il diritto di conoscere le alternative terapeutiche e le conseguenze dell’eventuale rifiuto o della rinuncia del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico;

– il diritto di non conoscere e quindi di rifiutare, in tutto o in parte, le informazioni;

– il diritto di indicare familiari o persona di fiducia incaricati di ricevere le informazioni e di esprimere il consenso in luogo del paziente stesso;

– il diritto di non soffrire o di soffrire il meno possibile e il diritto alla terapia del dolore ed ai trattamenti palliativi;

– il diritto di ogni uomo di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale (che ai fini della stessa legge sono considerate appunto cure/trattamenti sanitari).

  1. La disciplina. Il consenso informato. – La legge regola la forma (2.a.), i limiti di validità del consenso (2.b), forme e contenuti nel caso di particolari patologie (2.c.).

2.a. La legge stabilisce che il consenso informato dev’essere acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni e alle disabilità del paziente[1]. In ogni caso, il consenso è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni e, comunque acquisito, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario-elettronico (dove presente). La legge precisa che il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura.

2.b. Nelle forme appena indicate, il paziente ha diritto di revocare il consenso in qualsiasi momento. Il diritto sussiste anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento.

2.c. Nel caso di patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, il paziente (e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia) sono adeguatamente informati sul possibile decorso, sulle realistiche prospettive in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative.

  1. Segue. Le cure palliative. – La nuova legge sancisce che il medico deve adoperarsi per alleviare le sofferenze del paziente, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. È sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative (l. 38/2010). Nei casi di prognosi infausta a breve termine o di imminenza della morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore.
  1. Segue. La pianificazione delle cure. – Nel caso di patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, medico e paziente possono realizzare una pianificazione delle cure condivisa cui il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità. La pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico.
  1. Segue. Le disposizioni anticipate di trattamento. – Il fulcro della nuova legge sono le “disposizioni anticipate di trattamento”. Le DAT, riservate ad ogni persona maggiorenne, capace di intendere e di volere e adeguatamente informata, consistono in una manifestazione di volontà in ordine ai trattamenti sanitari, al consenso e al rifiuto di accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari per il caso di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi. Con le DAT viene indicato un “fiduciario” che farà le veci del dichiarante rappresentandolo nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie[2]. Il medico è tenuto al rispetto delle DAT, che possono essere disattese, in tutto o in parte, in accordo con il fiduciario, solo in quattro casi:

– qualora appaiano palesemente incongrue;

– qualora non corrispondano alla condizione clinica attuale del paziente;

– qualora sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione in grado di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

A prescindere dall’opinione del fiduciario, il medico non ha l’obbligo (anzi, sembra configurarsi un dovere di rifiuto) di dare corso alle disposizioni del paziente concernenti trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali.

La legge, inoltre, regola il caso che medico e fiduciario non concordino sul da farsi. La decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale, della persona interessata (e degli altri soggetti di cui all’art. 406 ciciv.), del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria[3].

Sono due le regole che “chiudono” la disciplina delle DAT:

– l’obbligo del medico di «rispettare la volontà espressa dal paziente» di rifiutare o rinunciare il trattamento sanitario salvo che le disposizioni del paziente riguardino trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali (es. protocolli – si pensi ai casi stamina o Di Bella, privi di accreditamento scientifico). Il medico che (entro questi limiti) esegue (o non esegue) le DAT è «esente da responsabilità civile o penale».

– L’obbligo di «ogni struttura sanitaria pubblica o privata» di garantire «con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi» della legge. Dev’essere altresì assicurata «l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale».

  1. I primissimi commenti sulle riviste giuridiche. – In un ampio e articolato commento pubblicato sulla rivista on line Penale contemporaneo[4] è stata apprezzata la buona qualità sul piano lessicale della legge, grazie sia all’adozione di un linguaggio comprensibile a medici e pazienti sia all’appropriatezza di alcune opzioni terminologiche, come quella, per esempio, di utilizzare l’espressione ‘disposizioni’ e già ‘dichiarazioni’ anticipate di trattamento. Si sottolineerebbe in questo modo che «le DAT non hanno un carattere meramente orientativo ma devono essere pienamente rispettate»[5]. Dallo stesso autore, sempre in chiave positiva è stato evidenziato che la legge non si limita a disegnare una disciplina sul testamento biologico, delineando piuttosto un «quadro coerente di tutta la relazione di cura, tendenzialmente conforme al diritto dei principi»[6].

È comune a diversi commentatori la considerazione relativa alla centralità che la legge conferisce al consenso informato, «estesa sino alla libertà del paziente di lasciarsi morire attuata attraverso il consapevole rifiuto di farsi curare», anche se – ha precisato taluno – non si tratterebbe affatto dell’affermazione di «un inesistente diritto di morire, quanto la formalizzazione di un diritto di rifiutare tutte le cure (anche vitali)»[7].

Forse è ancora prematura una valutazione riguardo alla conformazione delle circostanze nelle quali il medico, in accordo con il fiduciario, può di disattendere le DAT, in tutto o in parte: palese incongruità, non corrispondenza alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sopravvenienza di terapie non prevedibili al momento in cui la DAT fu sottoscritta in grado di assicurare concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Senza dubbio si tratta di parametri piuttosto elastici – il primo, soprattutto – che acuiscono il peso della responsabilità che, comunque, può gravare sul medico e sul fiduciario anche a prescindere da queste situazioni più controverse. Come dire: in DAT fit interpretatio. È appena il caso di osservare che medico e fiduciario – quasi fossero esecutori testamentari – dovrebbero orientarsi cercando di ricostruire con la massima fedeltà e precisione la volontà “vera” del “disponente”, ma è tutta da elaborare la questione sul significato giuridico di decisioni in cui l’interpretazione è stata orientata (anche se non deformata) da pre-comprensioni pro-vita o pro-choice.

A quest’ultima considerazione si collega il tema che ha tenuto banco nella discussione pubblica nei giorni immediatamente successivi all’approvazione della legge: per un verso, la mancanza di una previsione di “un” diritto (di obiezione di coscienza) del medico di rifiutare di dare corso ad una DAT che contrasti con le credenze etiche, morali o religiose cui aderisce, per l’altro, le previsioni, cui si è già fatto cenno, sul limiti di vincolatività delle DAT («trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali») che «ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi» della legge. L’Avvenire, in particolare, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana si duole (pacatamente) del fatto che «il medico non potrà più invocare nessuna delle esenzioni previste dal testo di legge, e sarà chiamato ad eseguire» la volontà di sospensione delle cure «nonostante le sue convinzioni contrarie. Sarà pur vero – conclude il c.d. quotidiano dei Vescovi – «che nella pratica concreta casi simili saranno “risolti” con l’affidamento del paziente a un altro sanitario (anche della stessa struttura sanitaria) disposto ad agire conformemente alle richieste, ma è evidente che la mancanza di un’opzione di coscienza “vera”, cioè fondata su un diritto soggettivo del medico, è un punto dolente»[8]. Più acuta la reazione di Padre Virginio Beber, presidente dell’Associazione religiosa degli istituti socio-sanitari, che ha garantito «l’impegno di applicare rigorosamente la legge … sulla DAT, salvo la facoltà» di non assumere «la responsabilità di assistere pazienti la cui dichiarazione anticipata di trattamento faccia presumere un conflitto difficilmente sanabile con il nostro fermo orientamento etico». Le maggiori resistenze riguardano la classificazione della idratazione e nutrizione quali cure e «non semplici elementi basilari di sostegno vitale». «Un dissenso – prosegue la nota di padre Beber – che non possiamo e non vogliamo sottacere» e che rappresenta per «un’opzione morale ovvia ed irrinunciabile», posto che la sospensione non giustificata di questi trattamenti «continuerà ad essere considerata … un atto di eutanasia»[9]. Che corrisponda o meno al pensiero della Chiesa[10], posta in questi termini, la questione non può essere risolta rilevando che non presenterebbe profili di peculiarità rispetto agli altri aspetti del consenso alle cure, perché è proprio questa classificazione della idratazione e nutrizione ad essere ritenuta controversa. Piuttosto, per evitare di cadere nelle consuete trappole del discorso pubblico di un paese massivamente secolarizzato (basti pensare, da ultimo, alla trasformazione in djset open space della vigilia di Natale) ma ancora troppo poco laico, giova ragionare sui confini del problema: se le criticità davvero riguardano solo la sospensione della idratazione e della nutrizione, la non urgenza di questi interventi consente di ricalibrare il bilanciamento dei valori delineato dalla legge riconoscendo al medico di non eseguire atti che sono radicalmente in contrasto con le proprie credenze, senza alcun pregiudizio, se non transitorio, per il paziente, cui verrebbe imposto un “sacrificio” dei suoi diritti tollerabile (sempre che, nello specifico di ciascuna situazione, sia in effetti tale la misura del pregiudizio). Ben diversa è la situazione in cui, l’urgenza dell’intervento non consente rinvii o deleghe, ovvero, se il fuoco della discussione si spostasse dalla nutrizione-idratazione alla intubazione, ventilazione assistita (ecc.). In questo caso, la (pretesa) “obiezione di coscienza” del medico che riceva o trovi una DAT[11] precisa e incontrovertibile rischia di frustrare irrimediabilmente la volontà del paziente non può trovare riconoscimento giuridico-positivo: il consenso fonda le cure; non si cura contro la volontà del paziente ovvero non è cura l’attività terapeutica o diagnostica che, per qualsiasi ragione, il paziente non accetta (es. effettuare una tracheotomia ad un paziente che ha precisamente espresso di non accettare questo trattamento). Se il medico o una struttura – del SSN in particolare – non vogliono curare dovrebbero trarne le conseguenze sul piano etico ancora prima che legislativo-regolamentare.

Leggi il punto di vista dell’uomo di scienza

Leggi il punto di vista del teologo

_________________________

[1] La legge regola le modalità di espressione o rifiuto del consenso per i soggetti minori e incapaci con l’obiettivo di realizzare il massimo coinvolgimento possibile dei diretti interessati, di tutelarne la salute psicofisica, la vita e la dignità. Il consenso viene prestato o rifiutato dagli esercenti la potestà genitoriale o dal tutore, per quanto riguarda i minori; dal tutore, nel caso di soggetto interdetto (che viene tuttavia consultato, ove possibile) e, nelle ipotesi di inabilitazione, dallo stesso inabilitato. Nel caso sia stato nominato un amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria ovvero la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso sarà espresso o rifiutato anche dall’amministratore o solo da questi, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.

[2] Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L’accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che è allegato alle DAT. Al fiduciario è rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che è comunicato al disponente. L’incarico del fiduciario può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalità previste per la nomina e senza obbligo di motivazione. Nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile.

[3] Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza medesimo dichiarante. In questo caso, l’ufficio provvede all’annotazione in apposito registro. La consegna può essere effettuata anche presso le strutture sanitarie delleregioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o del fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o, comunque, dispositivi che permettano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme le DAT sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni. Le DAT sono esenti dall’obbligo di registrazione, dall’imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa.

L’art. 6 sancisce che la legge (in part. l’art. 4) si applica anche ai documenti contenenti la volontà del malato circa i trattamenti sanitari già depositati presso il comune di residenza o davanti a un notaio prima della sua entrata in vigore.

[4] C.Cupelli, Libertà di autodeterminazione terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento: i risvolti penalistici. Approvato in via definitiva dal Senato il disegno di legge recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” (A.S. 2801), in Diritto penale contemporaneo, 2017 (12), p. 123.

[5] S.Canestrari, Una buona legge buona, in Riv. it. med. leg., 2017 (in cdp) (cit. da C. Cupelli, Libertà di autodeterminazione terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento, cit., p. 127).

[6] P. Zatti, Salute, vita, morte: diritto dei principi o nuova legge?, in Quotidiano sanità, 7 marzo 2017, p. 3 (cit. da C. Cupelli, op. loc. ult. cit..).

[7] Ancora C. Cupelli, op. loc. ult. cit..

[8] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/biotestamento-cosa-prevede-la-nuova-legge

[9] http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=49933

[10] Legittima i dubbi la lettura del messaggio che Papa Francesco ha indirizzato al meeting  regionale  europeo  della World  medical  association sulle questioni  del fine-vita (16 novembre 2017).

[11] Un altro problema che si è già posto è se il medico ha l’onere di ricercare la DAT. Non è possibile una risposta semplice e universale a questo interrogativo. Molto dipende dall’urgenza dell’intervento. Un (affermazioni più assertive, in questa fase, sarebbero avventurose) criterio regolatore potrebbe essere che il medico deve astenersi dal considerare l’esistenza di una DAT se il presidio terapeutico/diagnostico salvavita richiede una rapidità di esecuzione incompatibile con questa indagine. In questo caso, il medico dovrà procedere con l’attività salvo che comunque venga a conoscenza della DAT e sempre che abbia il tempo per poterla ponderare. Altrimenti, se l’intervento salvavita non è di emergenza sarebbe opportuno che il medico svolga (o promuova), per quanto è possibile, qualche accertamento soprattutto nel caso in cui emergano indizi dell’esistenza di una DAT.