Laurette e la leggenda degli antichi spiriti
C’è stato un tempo in cui tutti credevano che il mondo fosse popolato da presenze evanescenti, spiriti che ne dettavano le regole, in un equilibrio naturale tra forze del bene e del male.
E c’era un piccolo villaggio, incastonato tra i monti francesi, abitato da gente semplice che era convinta che le montagne e i fiumi, le valli ed il cielo, gli alberi, i prati, fossero animati di vita propria. Loro pregavano gli Dei del cielo affinché proteggessero le valli e le montagne dagli spiriti maligni che ogni tanto intervenivano con i loro sortilegi.
Daral era lo spirito più malevolo.
Daral non amava gli umani. Lo infastidiva quel modo che avevano di stare insieme, riuniti all’ombra del maestoso Alberodelpaese a bere vino, raccontarsi storie e aiutarsi a vicenda.
Non gli andava giù questa storia dell’amicizia.
Daral era sempre stato solo. Nascosto nel ventre cavo di un albero addormentato, con un unico microscopico pertugio da cui prendere aria ed emettere i suoi sibili; in compagnia unicamente della vecchia, atrofica scorza di quell’albero.
Non poteva neanche abbandonarlo per cercare rifugio altrove.
Una volta o due ci aveva provato ma era stato quasi stritolato dalle forze del Cielo e aveva finito con il convincersi che il suo destino fosse intrecciato a quella scorza bitorzoluta indissolubilmente. Il suo maggior tormento era quella capacità che aveva di assistere agli eventi del mondo senza potervi partecipare.
Vedeva gli umani ridere intorno all’Alberodelpaese, sentiva la loro gioia salire fin lassù, nel suo nascondiglio, ma gli era impedito prendervi parte. Sentiva la vita fluire intorno a quell’albero, ma lui ne era escluso.
Allora si raggomitolava su se stesso per non sentire; ma niente. Non era possibile sfuggire a quel tormento. Era proprio allora che diventava furente.
I suoi sibili crescevano furiosi e gelidi e si alzavano su su in alto fino a raggiungere il cielo, a gelarlo, rivestendo tutto in una coltre di ghiaccio e silenzio. Gli umani si rintanavano in casa. Isolati.
L’amicizia sembrava svanire . Ogni cosa sembrava cadere vittima del nulla. E lui si acquietava.
Così andò avanti per un bel pezzo e tutti si erano ormai abituati a vivere in bilico sul ghiaccio che gelava i cuori per le bizze furenti di Daral.
Accadde però che un giorno di sole, una bimba di nome Laurette, la piccina del paese, fu lasciata libera di gironzolare da sola per le vie del villaggio. Nei pressi della piccola chiesetta vicina all’Alberodelpaese, incontrò una gattina che aveva il pelo rosso carota, come i suoi capelli e che sembrava stesse aspettando proprio lei. La fissava dritto negli occhi e la seguiva con lo sguardo
Guardinga, la piccina si chinò sulle ginocchia, portandosi alla sua altezza ma tendendosi a debita distanza, che un gatto lei, così da vicino non lo aveva mai visto.
–Musc musc– le fece , allungando verso di lei il suo braccino e sollecitandola , con il gesto della mano, ad avvicinarsi. – Viens ici (Vieni qui) –
La gattina alzò il musetto verso di lei e con un’alzata di coda e un annoiato miagolio, le girò le spalle e si diresse ai piedi dell’Alberodelpaese.
– Viens tu (Vieni tu) – sembrava volesse dire mentre si disponeva ad attenderla, sicura di sé.
La piccina la seguì. Si sedettero una accanto all’altra e stettero in silenzio ad annusare l’aria; ad annusarsi. E nel silenzio, Laurette si sentì immergere dalla maestosità dell’Alberodelpaese.
Lo Spirito che lo abitava la prese con sé , la portò sulla montagna e le trasmise le leggende antiche narrate intorno a lui. Laurette conobbe le storie di tutti coloro che avevano abitato il villaggio prima di lei. Era estasiata di quanta vita fosse passata di là; quanti amori, quante risate e quanto chiacchiericcio intorno ad ogni popolano.
Fu un attimo. Solo un attimo. E dopo quell’attimo Laurette non fu più la stessa bambina di prima.
Ritornata giù, fissò la gatta e le lesse nello sguardo furbetto la consapevolezza che tutto fosse merito suo. Che fosse lei, la maga di quell’incantesimo. E le sorrise, grata di quel dono . Gli occhi le brillavano di felicità. La prese in braccio, impavida e le schioccò un bacione sul musetto.
–Merci, ma petit amie ( grazie, mia piccola amica) – le sussurrò, gongolando, mentre la micia, contenta, vibrava dal piacere.
Quell’ emozione raggiunse Daral nel suo nascondiglio e lo fece sentire solo e infelice come non mai. Ancora una volta i suoi sibili raggiunsero il cielo e lo gelarono. Il dolore di Daral non accennava a calare e i suoi gemiti divennero urla strazianti che raggiunsero le cime delle montagne gelate e le sconquassarono . Fu incredibile quello che accadde in seguito.
Lo strato di neve, che lui stesso aveva formato, non resse alle sue grida, si fratturò e prese a scivolar giù sempre più veloce e possente. Come una nuvola fumante, la neve si raggomitolava su se stessa scendendo minacciosa verso il paese.
Nel frattempo Laurette, impregnata dello Spirito dell’ Alberodelpaese, ascoltò quell’urlo e sentì nelle sue carni il dolore di Daral per la sua solitudine. Volò verso il suo albero e, con una forza inumana, si aggrappò alla sua corteccia e iniziò a tirare come a volerla sbriciolare
– Sors de là , viens voir le monde comme il est beau (Esci di lì. Vieni a vedere com’è bello il mondo) – gridava verso l’Alberoaddormentato mentre con le mani si aggrappava a quel piccolo pertugio nella corteccia e quella, al suo tocco, si animava, divenendo malleabile.
Si aprì un varco, grande abbastanza perché la piccola potesse attraversarlo.
Laurette era nel ventre dell’albero addormentato e non c’era nessuno lì dentro; solo un vento freddo che ansimava intorno a lei.
– Qui es-tu? (Chi sei?)- chiese candidamente
Daral era attonito. Qualcuno poteva sentirlo. E lui non era più solo. Quella bimba non aveva paura di lui; non aveva avuto paura di arrivare fin là e gli aveva aperto un varco sul mondo.
Soffiando lievemente, provò ad attraversare quel varco e questa volta nessuno tentò di fermarlo. Mentre si disperdeva libero nel cielo, la piccina lo seguì fuori dall’albero accompagnandolo con risate di gioia e piccoli urletti.
– Avez- vous vu? Qu’est-ce que je te disait? ( Hai visto? Che ti dicevo?)
Si guardò intorno.
Era veramente bellissimo. I monti intorno a lui brillavano e nel biancore accecante del ghiaccio spuntavano le braccia colorate di giovani alberi; dalle case del villaggio si libravano aliti di fumo e c’era quella bambina che gli sorrideva… Un sentimento nuovo si impossessò di lui alla vista di quei capelli rossi e di quel musetto impavido che gioiva della sua libertà.
Amicizia, la chiamavano gli umani. E ricordò le risate, il vino , l’Alberodelpaese e sentì che non era più solo, che c’era qualcuno che si intesseva a lui. Iniziò a ridere. Per la prima volta proruppe in una risata dirompente che si allargò tutt’ intorno e come un boato andò incontro alla nuvola fumante e la fermò. Miracolosamente la neve che la componeva si sollevò in mille minuscoli cristalli che si alzarono nel cielo e lì rimasero, sospesi. Il paese era salvo ed era stato lui a salvarlo.
Da allora smise di essere Daral, lo spirito del male e da quel momento la neve che cade sul villaggio, scende dolce, accarezza e dipinge paesaggi da favola. Ed i cuori rimangono caldi, nonostante il gran freddo.