La speranza di chi non crede svegli il sonno di chi crede

Anche i non credenti possono contemplare, nel bambino di Betlemme, la bellezza della propria umanità. Anche chi non crede può riconoscere, nelle incomprensioni di Giuseppe e nei dubbi iniziali su Maria, la propria storia fatta di incertezze ed angosce. Anche i non battezzati possono riconoscere, in Maria, il senso della fiducia che, per essere autenticamente tale, sa farsi abbandono. Anche coloro che non hanno pratiche religiose possono vedere, nei pastori, le esclusioni che vivono dalla società e gli isolamenti imposti dalle persone “perbene”.

Anche chi non fa il presepe conosce il rifiuto della famiglia, quando ci si trova in un paese che non è il proprio ed il trattamento ricevuto se non si porta con sé denaro. Anche chi non è cristiano può comprendere l’essenzialità, la semplicità e la povertà della famiglia di Nazareth. Anche senza religione si può capire la centralità del pane in un’esistenza, richiamata dall’etimologia di Betlemme (casa del pane). Anche senza celebrare la veglia di Natale, si può capire l’importanza di un messaggio di speranza e di gioia, come quello annunciato dagli angeli.

Se un non credente può capire, un cristiano dovrebbe vivere tutto ciò. I cristiani, che celebrano il Natale, realmente capiranno ciò che da secoli festeggiano? Che paradosso sapere che altri comprendano ciò che i cristiani celebrano, pur senza esserlo.

Capire il mistero di un Dio che si fa uomo e amare tale mistero, facendo dell’Incarnazione il criterio ermeneutico delle proprie scelte, sarebbe la vera festa; tale opzione fondamentale renderebbe, esistenzialmente, ogni giorno Natale.

La speranza di chi non crede svegli il sonno di chi crede e l’ingiustizia subita dai quei poveri, che non attendono nessuno, trasformi in autentica giustizia la vita dei cristiani che attendono Cristo, attraverso la coerenza ed il sacrificio del dono di sé. Sia la speranza di chi non crede ad illuminare la Speranza, che in Dio è già certezza, di tutti i “credenti”.