Tra storia e legenda, l’inizio della Repubblica nella Città Eterna.

509 a.C., il popolo romano insorge contro il re etrusco Tarquinio il Superbo, a Roma imperversa la rivoluzione.

Sarà un momento decisivo per la città che dopo la cacciata dell’odiato re Lucio Tarquinio sarà retta da due consoli eletti dal popolo, è la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica romana.

La storia dei quegli anni è giunta a noi grazie allo storico Tito Livio che ci presenta Tarquinio, re etrusco, come un dispotico, un uomo che diffuse il terrore, disprezzava i cittadini e ridusse al minimo il ruolo del Senato, un violento odiato dalla popolazione che non aspettava altro che sbarazzarsi degli etruschi.

Ma non fu solo il malgoverno del re etrusco a indurre il popolo romano alla ribellione. L’odio dei romani verso gli etruschi si alimentava di giorno in giorno, sarebbe bastata una scintilla a far divampare il fuoco della rivolta. E il fuoco divampò, quasi per caso, durante una conversazione tra il figlio del re, Sesto Tarquinio e un nobile romano, Collatino. Quello che accadde dopo quelle chiacchere di uomini in guerra è divenuto un evento fondamentale nella storia di Roma e di tutto il popolo italico. Forse è solo una leggenda, ma sia Tito Livio che Dionigi di Alicarnasso ce ne danno un racconto preciso.

Dai racconti di Livio e Dionigi sappiamo che la cacciata dell’ultimo dei sette re fu causata dall’onore violato di una donna, Lucrezia, e il suo succesivo suicidio. Lucrezia, nobildonna romana, era appunto moglie di Collatino e fu abusata dal figlio del re Tarqinio il Superbo. Per vendicare il suo onore e la sua morte, Giunio Bruto, amico del marito di Lucrezia, incitò il popolo romano alla rivolta, con la conseguente fuga in esilio di Tarquinio. Da quel momento i romani furono, come detto, guidati da due consoli eletti dal popolo, gli odiati re etruschi furono cacciati e il popolo romano fu libero.

Secondo le cronache del tempo, mentre le truppe del re assediavano la città di Ardea, il figlio del re, Sesto Tarquinio, e Collatino, parlavano delle loro mogli. “Ciascuna esaltava la propria”, ci ricorda Livio. Euforici a causa del vino, i due decidono di andare a verificare la fedeltà della propie consorti, Collatino, sicuro della virtù della moglie Lucrezia, propose a Tarquinio di scommettere sulla virtù della propria consorte. Si recarono subito dalla moglie Lucrezia che infatti, non era “dedita al lusso e ai conviti, ma seduta in mezzo all’atrio, a tarda notte, intenta a filare la lana in compagnia delle ancelle” (Tito Livio).

Collatino, vincitore della scommessa, invitò a cena i suoi amici. Fu in quel momento che Sesto Tarquinio si invaghì di Lucrezia e decise di farla sua.

Nei giorni successivi alla cena, Tarquinio si recò da solo nella casa di Lucrezia che, non immaginando le intenzioni di questi, lo accolse con tutti gli onori.

Durante la notte, la violenza. Tarquinio entrò nella camera di Lucrezia e le dichiarò il suo amore ma lei lo respinse. Il figlio del re non si arrese e pensò di aggiungere il disonore alle minacce. Racconta Livio: “Disse che, accanto a lei, morta, avrebbe posto uno schiavo nudo strangolato, affinché si dicesse che era stata uccisa in un turpe adulterio”.

La donna, terrorizzata, subì la violenza, ma non si concesse. preferì l’esser violata piuttosto che perdere l’onore. Tarquinio, ignaro di ciò che sarebbe successo dopo, tornò a Roma soddisfatto.

Ma Lucrezia l’indomani raccontò l’accaduto a suo padre e soprattutto a suo marito Collatino, l’amico del suo aggressore. In lacrime disse: “Che cosa può esservi di bene per una donna, dopo aver perduto l’onore? Collatino, nel tuo letto ci sono tracce di un altro uomo; ma soltanto il corpo è stato violato, l’animo è puro; la morte ne sarà testimone”.

Lucrezia svelò al marito il nome del suo carnefice e fece promettere al marito e al padre che l’avrebbero vendicata: “Vedrete quale pena gli sia dovuta; io assolvo me dal peccato, ma non mi sottraggo al supplizio; da questo momento in poi, sull’esempio di Lucrezia, nessuna donna vivrà impudica”.

Il marito cercò di convicere Lucrezia a non trafiggersi con il pugnale: “L’animo non il corpo è colpevole; dove non ci fu consenso non c’è colpa“, urlò Collatino, ma non servì. Lucrezia si suicidò con un pugnale.

Fu davanti al corpo morente di Lucrezia che Giunio Bruto giurò di abbattere la monarchia etrusca: “Per questo sangue, purissimo prima del regio oltraggio, giuro, e vi chiamo come testimoni, che perseguiterò Lucio Tarquinio Superbo, la sua scellerata sposa e tutta la stirpe dei suoi figli con ferro, fuoco e con qualunque forza possibile, né a loro né ad altri consentirò di regnare a Roma.

Il padre di Lucrezia, Collatino e Giunio Bruto partono per Roma. Il resto lo abbiamo già raccontato, tranne un particolare non secondario: i primi due consoli di Roma furno proprio Collatino e Giunio Bruto.