88 anni e non mostrarli! Quasi due ore e mezza, sempre in piedi, camminando avanti e indietro in un auditorium gremito da quasi 300 studenti: stupiti, ammaliati, ipnotizzati dalla passione e dalle parole della staffetta partigiana “Luce”, al secolo Luciana Romoli…

Si dice che i giovani di oggi siano tutti uguali, svogliati e sfaccendati, tranne quando si tratta di perder tempo sulle chat. Eppure, chi si fosse trovato a passare dall’auditorium “Michele Palumbo”, del Liceo Scientifico “R. Nuzzi”, ad Andria, lo scorso 25 ottobre, sarebbe stato, con sua grande sorpresa, smentito dai fatti.

Quasi trecento giovani, alcuni seduti per terra, altri in piedi, sono rimasti per ben più di due ore letteralmente ipnotizzati dalle parole appassionate della staffetta partigiana “Luce”, al secolo Luciana Romoli. Nella sua Roma, Luciana iniziò la sua disobbedienza civile a 8 anni, ma ha ancora forze sufficienti per parlare senza mai fermarsi, senza bere un sorso d’acqua e passeggiando tra i ragazzi per tutto il tempo della sua testimonianza.

Ai giovani, a noi tutti, ha voluto fare un dono speciale: la Costituzione.

Luciana Romoli, detta “Luce”: come mai questo nome?

Perché io sono stata staffetta partigiana, facevo parte delle Brigate Garibaldi e, dato che c’era la cospirazione, tutte le staffette avevano un nome di battaglia, che veniva loro dato dal comandante partigiano. Le staffette rischiavano ad ogni viaggio di essere catturate, violentate e torturate e per questo nessuno doveva sapere il loro nome né loro dovevano conoscere i nomi degli altri partigiani, sì da non poter parlare neppure sotto tortura e garantire la sicurezza di tutti.

Dove ha agito come staffetta partigiana?

Nella mia città, a Roma, che era stata divisa in zone. Ogni zona comprendeva diversi quartieri e aveva un comandante. Il mio comandante non mi voleva perché ero troppo piccola, nel 1943 avevo solo 13 anni. Allora un altro capo partigiano mi ha detto: “Va bene, se nun ta prendi tu, ma prendo io”. Perché io la partigiana avevo incominciato a farla alle elementari, quando fui espulsa da tutte le scuole del regno per aver difeso Deborah, la mia compagna di banco ebrea, maltrattata da una maestra fascista. Era il 1938, erano appena state emanate le leggi razziali e, dunque, il mio primo atto politico l’ho fatto quando avevo 8 anni. Ricordo ancora come se fosse oggi. La maestra entrò in classe con la sua divisa fascista. Con voce severa fece l’appello e ordinò a Deborah di restare in piedi. Poi le si avvicinò, la apostrofò con parole e offese irripetibili, quindi la trascinò per i capelli e legò le sue lunghe trecce al cordino per le tende della finestra. La legò così forte da lacerarle il cuoio capelluto. Poi ci ordinò di prendere i quaderni e di scrivere pensierini razzisti contro gli ebrei impuri. Avevamo solo 8 anni e avevamo paura, ma ci ribellammo. Eravamo 36 bambini contro un’insegnante. La sopraffacemmo, liberammo Deborah, ma io e mia sorella fummo espulse da tutte le scuole di Italia. Andavamo fuori dalla finestra della nostra classe per provare a seguire ugualmente le lezioni, ma era inverno, faceva freddo e mi ammalai. Ho poi preso la quinta elementare a 16 anni, il diploma di ragioneria a 30 e la laurea in biologia a 45. Ho anche lavorato come segretaria personale di Gianni Rodari, ma questa è un’altra storia…

Perché non ce la racconta?

Sarò breve. Dopo la Liberazione, ho continuato la mia attività politica. Ero tessile, ma venivo di continuo licenziata per le mie battaglie di giustizia sociale. Allora un uomo veniva pagato più di una donna e una donna più di una ragazza. Riuscimmo a ottenere la parità di salario, ma io persi il posto. Allora Rodari mi prese con sé e un giorno mi ha persino dedicato una filastrocca…

Ce la fa sentire?

Magari alla fine…

Allora torniamo alla sua esperienza in veste di staffetta partigiana?

Noi staffette ci muovevamo tutte in bicicletta, ma l’organizzazione era davvero seria. Le bici erano tutte diverse, così che, se ci avessero fermate, potessimo far finta di non conoscerci tra noi. A destra e sinistra del manubrio c’erano delle sporte molto grandi e profonde. Ricordo che le mie erano di forma rettangolare, mentre quelle di mia sorella, di due anni più grandi di me, erano ovali. Al mattino alle 8, raggiungevamo Trastevere e lì ricevevamo l’ordine di trasportare lettere o pacchetti in altra zona della città, per esempio al Flaminio. In genere, non conoscevamo il contenuto di ciò che trasportavamo. Lo nascondevamo al fondo delle nostre sporte e sopra ci sistemavamo frutta o verdura.

Vuole raccontarci di un giorno in particolare?

Un giorno con mia sorella eravamo nei pressi del Verano. Io trasportavo chiodi a quattro punte, quando ci imbattemmo in un posto di blocco. L’accordo tra noi era che, in un caso simile, io avrei rallentato la mia pedalata e mia sorella avrebbe accelerato. Così fece. Proseguì sorridendo e scampanellando, quando le fu intimato l’alt. Il soldato tedesco, che conosceva bene l’italiano, le chiese cosa trasportasse. E lei: “Bombe a mano!”. Il soldato sorrise e le disse di proseguire. Io ero tramortita, senza forze. Quando poi raggiunsi mia sorella lei mi rimproverò per la mia lentezza. E io le dissi: “Ma come? Tu vai a dire che porti bombe a mano!”. E mia sorella: “Ho detto loro la verità. E siamo salve…”.

Lei incontra ogni anno migliaia di studenti: in un contesto in cui, ad esempio, l’anniversario per gli 80 anni dalle Leggi razziali è passato in silenzio, qual è il messaggio che vuol consegnare loro?

È passato in silenzio perché c’è negazionismo. Per questo ai giovani chiedo sempre di difendere la Costituzione. Di difendere la libertà per la quale noi abbiamo combattuto. La mia paura è che ritorni il fascismo. Se accadesse, perderebbero quei diritti per i quali noi abbiamo combattuto e di cui ora loro godono. Il diritto all’uguaglianza, il diritto alla solidarietà, il diritto alla libertà di opinione, il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro. Abbiamo la Costituzione più bella del mondo, e gli altri ce la invidiano. È bella perché garantisce tutti questi diritti. È bella perché è il frutto dell’accordo di tutte le diverse anime culturali del tempo. Per scriverla, si sono messi attorno allo stesso tavolo comunisti, cattolici, liberali, socialisti, repubblicani. Ecco, i nostri ragazzi devono imparare a fare altrettanto: a discutere tutti i diversi punti di vista e a trovare un accordo che rispecchi tutti, che sia di tutti. E la devono difendere la nostra Costituzione, da tutti quelli che la vogliono cambiare. I giovani saranno i futuri dirigenti della nuova società. Io li invito a essere uniti, a imparare a memoria la Costituzione: dovrebbero imparare a memoria l’art. 3, ma anche il primo e tutti gli altri. Giovani, buttate a mare la società che c’è oggi e fate una società nuova. Fate una seconda Resistenza: per il vostro bene, per la vostra società. Perché la Costituzione non ha bisogno di essere cambiata. Ha solo e ancora bisogno di essere attuata.

Dobbiamo salutarci. Ma ci ha promesso la filastrocca…

La Costituzione era già stata promulgata, compreso l’art. 21, ma io fui arrestata per aver scritto su un muro: “Pace e libertà”. I compagni mi avvisarono con un fischio dell’arrivo della polizia, ma io mi trattenni fino all’ultimo perché ci tenevo a mettere l’accento sulla A. E così mi arrestarono. Mi dovetti fare 10 giorni in custodia delle suore mantellate. Telefonai a mia madre dicendole che partivo per Napoli per una campagna elettorale. Quando mia madre riferì la notizia a Rodari, presso il quale già lavoravo, lui intuì la bugia e, al mio ritorno, mi chiese di spiegargli cosa fosse realmente accaduto. Gli raccontai tutto e nacque la filastrocca che si intitola “L’accento sull’A”.

La ricorda ancora a memoria, è vero?

Come potrebbe essere diversamente?

“O fattorino in bicicletta
dove corri con tanta fretta?”
“Corro a portare una lettera espresso
arrivata proprio adesso”.
“O fattorino, corri diritto,
nell’espresso cosa c’è scritto?”
“C’è scritto: Mamma non stare in pena
se non rientro per cena,
in prigione mi hanno messo
perché sui muri ho scritto col gesso.
Con un pezzetto di gesso in mano
quel che scrivevo era buon italiano,
ho scritto sui muri della città
“Vogliamo pace e libertà”.
Ma di una cosa mi rammento,
che sull’-a- non ho messo l’accento.
Perciò ti prego per favore,
va’ tu a correggere quell’errore,
e un’altra volta, mammina mia,
studierò meglio l’ortografia”.