…Quando si è bambini o lo si rimane, come fanno i poeti della vita, basta un nonnulla per toccare il cielo!

Inerpicatoti per la potatura verde, sulla cima di secolari ulivi, che nel tempo hanno visto scorrere, con imperturbabile distacco, atarassia olimpica, vicende di uomini, insetti ed animali, fanno tenerezza ai tuoi occhi di ondeggiante pinnacolo, i piccoli grumi vegetali ancora informi, verdi eruzioni cutanee che profanano la liscia corteccia di torniti rami evocanti levigate braccia muliebri.

Una flebile voce interiore ti esorta ad avere pietà per la vita emergente ancora raggomitolata in se stessa, ma non puoi lasciarti soggiogare da sentimentalismi di accatto, altrimenti le chiome, trasformandosi nel giro di pochi anni in inestricabili grovigli di rami e foglie, faticherebbero sette camicie per sopravvivere, e la colpa verrebbe attribuita dalla politica dissennata, dalle multinazionali dei pesticidi e dagli scienziati asserviti, alla innocente xilella. Quindi… un lieve tocco dei polpastrelli fa abortire le incipienti forme di vita.

Minuscoli virgulti, irsuti come aculei di un riccio, popolano da giorni la rugosa corteccia dei nodosi ulivi. Teneri rametti che spuntano soprattutto in prossimità dei grossi tagli, operati nel passato dalla sega, dall’accetta e dalle forbici inclementi del potatore. Un deciso strappo, occorre, per rimuovere quelli più tenaci, la cui asportazione lascia dietro di sé tumidi rigonfiamenti biancastri dai quali scaturiscono, sofferte lacrime di linfa.

A decine, a centinaia, a migliaia, così, volteggiando lievemente nell’aria, cadono, da alcuni metri d’altezza, e la terra nera, disseminata di biancheggianti pietre calcaree, illeggiadrita dal viola della malva e dall’arancione delle calenduline, li accoglie nelle generose braccia, le cui esalazioni assieme alla salmastra brezza marina fanno palpitare le narici.

Inali oli essenziali, benefico bagno di aromoterapia, respiriQ a pieni polmoni con gusto, e la salute sprizza vitalità dai pori. Le tue cellule, miriadi, esprimono gratitudine all’aria ossigenata, illeggiadrita dalla fragranza di menta, rosmarino, basilico, origano, e dagli effluvi della terra pregna di sostanza organica.

Per un attimo, sospendendo l’impegno della pota, ti lasci soggiogare dalla bellezza del paesaggio naturale creato pazientemente dalla laboriosa creatività dell’indigeno contadino. Il tuo sguardo, saltellando da un ulivo all’altro, rimane incantato dalle oblunghe foglioline, ora verdi, ora argentee, che il carezzevole vento, sussurrando dolci melodie ancestrali, fa danzare lievemente. Plana su vigneti dai lunghi tralci a festoni, teneramente ondulanti, abbarbicati alla paziente rete metallica, volutamente eclissatasi sotto pampini e grappoli di uva adolescente. Atterra su estesi campi incolti, lussureggianti per rosolacci tremuli e vezzose margherite gialle, che il glifosate per distrazione non ha falcidiato. Sorride alla vista di superstiti lumachine e rimane incredulo nell’intravedere lenti lombrichi gonfi di residui vegetali, perennemente in azione. Una superstite lucertola, raggiunto furtivamente un masso erratico, fa gli occhi dolci al sole, che con un caldo e prolungato abbraccio la colma di energia vitale. All’orizzonte, sulla vicina marina, un’imbarcazione a vela con la randa rigonfia, pancia di una donna all’ultimo mese di gravidanza, scivola leggera su larghe onde carezzevoli dalle bianche creste tremuli.

Le orecchie assaporano il gusto del silenzio. Tuffandoti nell’anima, rievochi emozioni e sentimenti, remoti e recenti. Voli alto, riflettendo sul senso della vita e sulla ineffabile bellezza della natura. Poi, scuoti leggermente il capo per le immani ferite che le vengono inferte quotidianamente. Raggomitolato in te stesso, elabori finalmente sofferenze inaudite, da tempo opprimenti gli anfratti più remoti dell’anima. Ti riconcili con l’esistenza, insidiata, senza tregua, dalle numerose prove quotidiane, frastornata dalle gracchianti voci e dagli assordanti rumori del mondo, tecnologico ed umano, eufemisticamente, civile.

Solo raminghi pigolii, timidi cinguetti, frulli di api e vespe rompono la gioia della quiete, ridando un volto velato e nostalgico ad epoche appena trascorse, quando il frinire delle cicale e dei grilli, il gracidare di rane, i gorgheggi a perdifiato, i variegati assoli, i cori di rondini, rondoni, passeri, pettirossi, pipistrelli, tortore e cornacchie allettavano timpani educati dalla natura al senso dell’armonia. Quando appuntite testoline di lucciole, innamorate del sole, addolcivano e facevano sorridere anche i cuori più distratti.

A due passi da te, troneggia, l’imponente figura dell’Ospedale “R. Dimiccoli”.  La tua fronte si corruga, le palpebre si contraggono. Si incupiscono, gli occhi, visitando di soppiatto le sale operatorie ed i laboratori di analisi, pregni di acri odori che ti fanno starnutire. Passeggi per le corsie. Quanta gente! In camice bianco o in pigiama. Indaffarati. Assorti. Preoccupati. Allegri. Indifferenti. Ti accomodi timidamente sulla punta di letti dove le sofferenze urlano, le speranze di guarigione si affacciano all’orizzonte o in fondo al tunnel non si intravede neppure un flebile baluginare. Scorrazzano indisturbati e tronfi anche i promotori di farmaci, accolti amorevolmente da turpi medici compiacenti.

Per oggi hai finito di conversare e fare all’amore con le piante, il cui meraviglioso linguaggio hai imparato a conoscere per amarle, carpirne segreti e confidare sogni, o eterno adolescente. Ti lasci alle spalle, ora, il magico mondo della campagna, insidiato pericolosamente dall’invadente cemento, dagli inclementi pesticidi e, percorrendo uno sterrato viottolo fiancheggiato da esili rami di finocchi selvatici e amaranti, raggiungi la SS 93. A destra porta verso la città di Canosa che forniva ottime lane alle esigenti matrone romane, a sinistra si dirige verso Barletta, orgogliosa, di aver ascoltato i vagiti e gli uggiolii di Giuseppe De Nittis, Paolo Ricci e Pietro Mennea.

Un tempo, quando lentamente risuonava nell’aria il rotolio delle grosse ruote di sgangherati carretti trainati da asini, muli e cavalli ed i cani, incatenati sul retro, abbaiavano alla luna o tentavano di addentare mosche impertinenti, la strada per un ampio tratto era illeggiadrita da lineari siepi di rosmarino, dove fiduciosi genitori portavano bambini affetti dalla pertosse.

Ora, tutto è cambiato. Un remoto ricordo, i profumi di rosmarino. Sparite le lussureggianti ville di una volta, soppiantate da tristi alveari umani. Orribili edifici a destra ed a manca. Arcigni falansteri. Accatastati gli uni agli altri. Appartamenti stipati di mobili. Frigoriferi stracolmi di cibi sinistramente rielaborati dall’industria dell’alimentazione connivente con le spregiudicate multinazionali della farmaceutica e della chimica. Miracolosamente, per l’indomito coraggio del vigile Emilio Colangelo sopravvive Villa Bonelli, oasi di vita per chi osa amare la natura. Un lusso, oggi.

Sfrecciano, in basso, senza sosta automobili, furgoni, camioncini, trattori, motociclette. Più lentamente procedono intraprendenti biciclette, vasi d’argilla che sopravvivono a stento in un mare di anfore corazzate, zeppe di ogni sorta di congegni elettronici. Sempre più avveniristici.

Per la fregola di arrivare, (Dove? Chi lo impone?) si è disposti a tutto, anche a calpestare precedenze, a disattendere segnali stradali, a lasciare per terra feriti e morti. Una strage ogni giorno. Strombazzando, a più non posso, lambendo con il proprio automezzo, cane in fregola per una cagna in calore, la vettura antistante, inondando l’aria di miasmi e spargendo a piene mani nugoli di micidiali polveri sottili, responsabili di tante forme di cancro e favorenti patologie devastanti come l’Alzheimer.

Vistosi rappezzi zigzaganti ed una rete di crepe provocate dal sole, dalla pioggia e dall’usura si incaricano di decorare irregolarmente il manto stradale. Ed i veicoli che ospitano conducenti e viaggiatori assillati dalla frenesia di arrivare a destinazione o tormentati dall’assenza di lavoro, saltellando, producono tonfi, scoppiettii, rombi, stridii.

La tua vettura continua a procedere lentamente, e solo i freni impediscono che tamponi quella precedente, fermatasi per il brulicante groviglio di veicoli, evocante uno sciame di api bottinatrici all’ingresso dell’alveare. Il traffico si ferma. Ulula in lontananza, una lampeggiante vettura della Croce Rossa.

Nell’attesa, apri il finestrino e volgi lo sguardo a destra. Sul largo marciapiede fanno bella mostra di sé, variopinte cassette di frutta e verdura. Ciliegie, pesche, nespole, cipolle, asparagi, carote, bietole, tuberi di zenzero. Ormai non esistono più stagioni, in ogni epoca abbonda frutta di ogni contrada del mondo.  A benedirla oltre ai tanti pesticidi che ormai rientrano sistematicamente a pieno titolo nella dieta alimentare, provvede anche la nuvola di diaboliche polveri sottili che ricopre interamente il manto stradale.

Sull’altro marciapiede, un aitante giovanotto, corpulento, folti cespugli sugli occhi, braccia letteralmente ricoperte di arabescati tatuaggi, blue jeans sdruciti, porta a spasso con un corto guinzaglio due cani, un lupo ed un segugio, mentre, un barboncino bianco, che gli lecca gli ispidi peli della barba e gli umetta le labbra, lo tiene stretto a sé. In giornata, qualche passante, calpestando le immonde deiezioni, lancerà imprecazioni contro l’irresponsabile proprietario di animali che non ha provveduto a raccogliere escrementi. Griffate.

In automatico, scuoti la testa, e la tua mente corre al lontano medioevo, quando era disdicevole e riprovevole accompagnarsi con cani, mentre l’attenzione agli infermi, ai poveri ed ai pellegrini riscuoteva una considerevole approvazione sociale. Non a caso nella tua città esiste via Ospedale dei pellegrini.

Dalla vetrina di una macelleria, gremita di acquirenti, ti guardano, gli occhi spenti di un agnellino di pochi mesi che finirà in giornata in un tegame di patate al forno, condite con pomodori freschi ed olio extravergine di oliva, succulento piatto sul quale i commensali si avventeranno con avidità. Le loro orecchie non sentiranno le urla strazianti delle torture subite dalla vittima sacrificale, immolata sull’altare del disprezzo della salute e della devastazione delle foreste, né le sofferenze della macellazione. Chissà se un giorno la visione antropocentrica lascerà il posto a quella biocentrica!

In fondo al negozio di carni ovine, suine equine e bovine, nell’ambiente piastrellato fino al soffitto, pendono, sanguinanti carcasse, squartate a metà, costole biancastre. Ridotte a pezzi, per un sugo succulento e grasso, porteranno i commensali a complimentarsi con la provetta cuoca, mentre le lingue si leccheranno i baffi.

Le rondini non disegnano ghirigori nel cielo, apparentemente terso, d’un azzurro rivaleggiante con il cobalto di Klein. Non trovando più nutrimento, volteggiano in altri lidi. Garriscono, intanto, da un balcone pantaloni, mutante e camicie messi a sciorinare e… spiccano il volo nell’aria, impalpabili veleni attentanti alla salute degli esseri viventi.

All’improvviso un sobbalzo. Sussulti. Freni di botto, la vettura subisce uno scossone.  Una giovane donna, zigzagando tra l’andirivieni delle macchine sbuffanti nuvole di carburanti incombusti, ti taglia la strada. Come se nulla fosse, imperterrita, la giovane mamma continua imprudentemente ad avanzare. Capelli corvini a caschetto. Unghie laccate di rosso, puntinato di minuscole perline. Griffati blue jeans artatamente sbrindellati, che cadono come pioggia su tacchi di 12 centimetri. Petulante ed occhiuto smartphone incollato al viso. I tuoi occhi, invece di guardar dritto, di sottecchi seguono i maldestri passi dell’avvenente signora, incollandosi inebriati al vivo gioiello precariamente incastonato nel carrozzino.

Per un pelo il traballante carrozzino con il prezioso carico umano non finisce all’aria. Un subitaneo sospiro di sollievo rasserena l’animo, poi… poi… un prolungato “ohohohoh” si fa strada nella tua bocca che gradatamente si spalanca a dismisura. Gli occhi brillano. Baci la straripante bellezza.  Archetipica, ancora più suggestiva, perché imprevedibile nell’orrore circostante. L’accarezzi. La coccoli. Estasi!

Non si intravede la testolina dell’infante. Il nome, Elisa, Fabio, Susanna, Angelo?  Non fa differenza. Una creatura umana appena sbocciata, un’esplosione di potenzialità. Certamente, il suo splendore sarà struggente come quello dei bambini di tutto mondo, di ogni colore, nati nelle baracche, nelle foreste, nei campi profughi, sotto i palazzi diroccati dalle guerre, nelle modeste abitazioni e nei lussuose ville dei nababbi.

Prima di te il bambino fa “oh! Che meraviglia, che meraviglia!” Le sue tornite gambette e le paffute braccine si cercano. Si toccano. Sfuggono. Insiste, il batuffolo di vita, forte è la curiosità di toccare, di capire. Che cosa mai sono quelle paffutelle colonne eburnee? Chiede la sua curiosa testolina. Cerca con un guizzo dell’intero piccolo corpo di prenderle, di afferrarle, gli sfuggono, ci ritenta. Finalmente stringe i piedini, vivi giocattolini che prima scivolano, poi si riavvicinano. Tiene fermi i ditini per qualche secondo. Piccole perle, che il sole fa rifulgere per il biancore. Quando si è bambini o lo si rimane, come i poeti della vita, basta un nonnulla per toccare il cielo!

“Complimenti, meraviglia della natura, dell’amore genitoriale e di tutti quelli che si caricano sulle spalle le loro gioie, le aspettative ed i dolori, sei sulla buona strada!”, spontanee parole che affiorano dalla tua sorridente bocca sdentata.  Speri in cuor tuo che la stupenda creatura sappia veleggiare nella vita, leggera e soave come delicati drappeggi di nuvole bianche mollemente vaganti in un campo azzurro, vagheggiando il talento della condivisione nel pieno rispetto di tutti gli esseri viventi.


Fontehttps://it.wikipedia.org/wiki/File:Puglia_-_Salento_-_ulivi_giganti_secolari.JPG
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Percorso scolastico. Scuola media. Liceo classico. Laurea in storia e filosofia. I primi anni furono difficili perché la mia lingua madre era il dialetto. Poi, pian piano imparai ad avere dimestichezza con l’italiano. Che ho insegnato per quarant’anni. Con passione. Facendo comprendere ai mieli alunni l’importanza del conoscere bene la propria lingua. “Per capire e difendersi”, come diceva don Milani. Attività sociali. Frequenza sociale attiva nella parrocchia. Servizio civile in una bibliotechina di quartiere, in un ospedale psichiatrico, in Germania ed in Africa, nel Burundi, per costruire una scuola. Professione. Ora in pensione, per anni docente di lettere in una scuola media. Tra le mille iniziative mi vengono in mente: Le attività teatrali. L’insegnamento della dizione. La realizzazione di giardini nell’ambito della scuola. Murales tendine dipinte e piante ornamentali in classe. L’applicazione di targhette esplicative a tutti gli alberi dei giardini pubblici della stazione di Barletta. Escursioni nel territorio, un giorno alla settimana. Produzione di compostaggio, con rifiuti organici portati dagli alunni. Uso massivo delle mappe concettuali. Valutazione dei docenti della classe da parte di alunni e genitori. Denuncia alla procura della repubblica per due presidi, inclini ad una gestione privatistica della scuola. Passioni: fotografia, pesca subacquea, nuotate chilometriche, trekking, zappettare, cogliere fichi e distribuirli agli amici, tinteggiare, armeggiare con la cazzuola, giocherellare con i cavi elettrici, coltivare le amicizie, dilettarmi con la penna, partecipare alle iniziative del Movimento 5 stelle. Coniugato. Mia moglie, Angela, mi attribuisce mille difetti. Forse ha ragione. Aspiro ad una vita sinceramente più etica.