“I pescatori sanno che il mare è pericoloso e le tempeste terribili, ma non hanno mai considerato quei pericoli ragioni sufficienti per rimanere a terra”

(Vincent van Gogh)

Il viaggio. Che parola misteriosa. Contiene fascino e paura. Attira e incute timore. Proprio come tutto ciò che riguarda ciò che è infinitamente più grande di noi, che sia un fenomeno della natura, un limite da valicare, Dio, o la nostra morte.

Non temere, amico lettore, non è mia intenzione angosciarti. Solo, suggerirti una riflessione su quanto questa parola, viaggio, attraversi la nostra cultura, la nostra storia, la nostra stessa identità.

Non c’è bisogno di aver studiato al liceo per sapere che Ulisse è l’archetipo del viaggiatore e che la sua Odyssea è il racconto di tutti i nostri viaggi: dall’ignoto alla civiltà, dal porto sicuro di nuovo oltre le Colonne d’Ercole, finché acqua non ci sommerge.

È un po’ quello che accade alla nostra vita. Nasciamo dall’ignoto, non è forse così?, ci accoglie una casa che, divenuti adulti, lasciamo per solcare il mare della vita e approdare, di nuovo, all’ignoto.

Certo, possiamo fare congetture, accogliere rivelazioni, sposare una fede, che sia in questo mondo o nell’oltremondo, ma resta il fatto che il nostro vivere è un viaggio di cui non sempre conosciamo la meta e del quale, in particolare, spesso ci sfugge tanto la ragione della partenza quanto la destinazione finale.

Nondimeno, questa non è una buona ragione per non sciogliere le vele, tenendo meglio che possiamo il timone della nostra barca, imparando a leggere le stelle, a scegliere i venti, a remare a forza di braccia, quando è necessario, anche se le ossa fanno male e i muscoli sono allo stremo.

Ha ragione il genio sofferto di Vincent: il mare è pericoloso, tempeste terribili ci attendono, mostri e sirene ci aggrediranno. Ma tutto questo non basta per tenere a terra un viaggiatore.

Buon caffè! Che sia caldo, robusto e dolceamaro. Proprio come te.

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