Te Deum

L’ultimo giorno dell’anno, ma anche i primi, possono costituire un momento di verifica sul vissuto di questo anno appena trascorso.

Intanto scorrono nella mente i tanti fotogrammi di fatti ed eventi che hanno catalizzato la nostra attenzione e la nostra sensibilità. A farla violentemente da padrone è la “precarietà”, con un nuovo anno più incline a prolungare timori e tremori, che ad accogliere auspici e speranze.

Parole di augurio? Purtroppo qui sulla terra, dove gli umani annidano i propri inferni, credo che siano molti i motivi per far riaffiorare ferite e amarezze, delusioni e torti subiti. Mille motivi per far echeggiare con stanchezza i verbi brucianti della rivendicazione e dell’avvilimento: le parole più diffuse sembra che siano quelle di chi si lamenta e non ringrazia nemmeno d’esser vivo.

L’ultima dell’anno in molte chiese viene intonato un canto: il Te Deum. Te Deum laudamus: inizia così il ringraziamento e la loda a Dio per l’anno appena trascorso. Te Dominum confìtemur: ti proclamiamo Signore del tempo che è passato e che sta per venire.

A fare da contraltare a questa liturgia c’è chi, con grande offesa all’intelligenza umana, redige oroscopi e analisi con classifiche in merito all’uomo dell’anno, al goal dell’anno, alla star dell’anno…

Ma a denti stretti e occhi lucidi abbiamo recitato un Te Deum pensando ai tanti frammenti di vita che non fanno notizia, ma che riempiono il cuore di pace.

Abbiamo recitato il Te Deum con voce esitante per i troppi orrori visti; per coloro che, in virtù del ruolo istituzionale rivestito e scelta vocazionale propria, sono risultati oltraggio alla vita, perché assenti e orribilmente silenziosi nei momenti nevralgici che hanno segnato negativamente l’esistenza di alcuni. Prima dell’indurimento totale del cuore e di fronte alle lacrime, non c’è spazio per logiche di alleanze opportuniste, ma solo per una presenza attenta e compromettente che non sia né decorativa né “cosmetica”.

Abbiamo recitato il Te Deum per le lacrime versate in occasione delle ingiustizie e delle stragi che ancora hanno eco nella nostra memoria; per la pazienza dei nostri anziani, che onorano il tempo che inesorabilmente avanza senza sentirlo come nemico.

Abbiamo recitato il Te Deum per chi, aldilà di spudorati proclami, ha perso il lavoro, ma non la dignità; per il mare di bene che con onde silenziose sostiene il nostro viaggio nella vita, coscienti che ciò che conta non sono i bilanci, ma il coraggio necessario per alzare gli occhi al cielo e ringraziare piuttosto che imprecare contro chi ci ha preceduto.

Chi è appassionato della vita e del suo valore, alla fine o all’inizio di un anno cerca sempre, dentro e fuori di sé, i motivi per ringraziare e quindi ricominciare … anche se la contabilità è in rosso e le forze a volte sembrano mancare.

Tuttavia il nostro Te Deum laudamus, te Dominum confìtemur è un immenso canto per il fascino stupendo di questa nostra terra di Puglia, opera del talento geniale e dalla fede operosa dei nostri padri, sotto i cui cieli viviamo, ammirando squarci incantevoli che si aprono dal Gargano al Salento: “terra per cui vale la pena essere venuti al mondo”.