L’Ordine dei Giornalisti, a norma di legge, ci “obbliga” a seguire dei corsi di formazione, pena la perdita del tesserino. Succede così che un sabato pomeriggio, invece che approfittare del sole settembrino per una delle ultime nuotate stagionali, mi tocca rinchiudermi in una sala conferenze, ad ascoltare una relazione sull’arte comunicativa di don Tonino Bello, il celebre vescovo di Molfetta, morto nell’aprile 1993, ucciso dal cancro a soli 58 anni, quando era vescovo da appena dieci anni e in un tempo così breve era riuscito, in Italia e fuori di Italia, a spaccare le coscienze sonnolenti della classe e della Chiesa borghese.

Ci vado con la rassegnazione di chi deve compiere un atto dovuto: un paio di ore noiose e sonnolenti, ad ascoltare aria trita e ritrita, il ritiro dei credits promessi e via, il più presto possibile.

Tuttavia, mentre rimugino pensieri del genere, ecco che la voce del relatore, il prof. Renato Brucoli, ci dona una perla che vale da sola ben più di un intero corso di aggiornamento. Lo definisce “il master in giornalismo” di don Tonino. In realtà, è una vera e propria lezione che lo stesso vescovo diede a lui, quando lo nominò direttore del settimanale diocesano “Luce e Vita”.

Brucoli aveva il compito di fare un servizio sugli sfrattati – si era alla metà degli anni ’80 e le polemiche e i contrasti sull’applicazione della legge sull’Equo Canone lasciavano tante famiglie senza casa. Il direttore, su richiesta esplicita dello stesso don Tonino, lanciò un paio di idee per il suo servizio:

«Perché non intervistiamo i rispettivi sindaci della quattro città della diocesi? Potremo chiedere loro cosa abbiano in mente di fare per andare incontro all’emergenza degli sfrattati…»

«Lascia perdere, Renato. Lascia che i sindaci svolgano il loro compito. Noi dobbiamo scrivere d’altro…»

«Allora ti propongo un’altra idea. Ho sottomano i dati dell’ultimo censimento. So perfettamente quante case ci siano a Terlizzi e quante di esse sono vuote e sfitte, mentre la gente si accampa sotto il Municipio. Che ne pensi di un’analisi di taglio sociologico di questi dati?»

«Renato, i numeri sono aridi: noi dobbiamo arrivare al volto dell’altro, al volto del diverso, del povero, dello sfrattato, del rifugiato. E lo dobbiamo fare con occhi di madre».

«Allora, don Tonino, dimmi tu cosa fare!»

«Va bene. Ma abbi un po’ di pazienza. È domenica e devo andare a celebrare. Poi ti porto in un posto…»

Al buon Renato non restò che attendere che la celebrazione terminasse. Poi, don Tonino, che non aveva autista, lo invitò a salire sulla sua macchina che lui stesso guidò lungo la Statale tra Molfetta e Terlizzi. Terlizzi è la città di Renato Brucoli, ma in quel momento egli non aveva la più pallida idea di dove il vescovo si stesse dirigendo. Poco prima di raggiungere il paese, don Tonino svoltò a destra e prese una stradina sterrata di campagna. Guidò ancora per un tratto e poi spense il motore davanti ad uno scenario di quelli che ti prendono subito alla bocca dello stomaco. Di fronte a loro, c’era un’intera famiglia accampata in un oliveto, senza altre pareti a proteggerli che dei teli per la raccolta delle olive, appesi agli alberi su tre lati, il quarto del tutto scoperto, con l’intero mobilio disposto direttamente sul terreno.

Renato non parlava, ma parlò don Tonino:

«Vieni con me, Renato, ti porto a conoscere una famiglia, così potrai intervistarli».

«Volentieri!»

«Aspetta un attimo, Renato. Se hai con te una macchina fotografica, magari potresti scattare delle foto, per documentare il loro stato».

«È un’ottima idea. Ho la macchina. Farò senz’altro delle foto!»

«Ancora un momento, Renato. Vorrei dirti: perché non ti trattieni qualche ora con loro? Il tempo trascorso insieme li aiuterà ad aprirsi, li conoscerai meglio e loro conosceranno meglio te…»

«Va bene, don Tonino … Magari avviso prima a casa…»

«Aspetta, aspetta, Renato. Voglio dirti un’ultima cosa. Che ne dici? Ce la fai a fermarti con loro anche una notte? Se riuscirai a trascorre con loro un’intera notte all’addiaccio, senz’altro tetto che la calotta delle stelle, allora farai il più bel servizio giornalistico della tua vita…»

Renato capì…

Il master in giornalismo di don Tonino: non c’è informazione senza condivisione.