I cieli che profumano di notti d’estate sono magici.

 

Il giovane Badour aveva imparato a rendere omaggio al cielo e ai suoi misteri sin dalla più tenera età, quando ancora viveva nel suo paese e la sua terra era un tripudio di giardini in cui le famiglie si riunivano per rivolgere alla volta celeste, lo stesso sguardo.

 

Ora era solo, lontano dalla sua gente.

Contemplava la falce di luna che illuminava fiocamente l’infinito che lo sovrastava e, di tanto in tanto, allungava il collo alla ricerca dei puntini luminosi che lo popolavano.

Quando scorgeva qualcosa d’interessante avvicinava all’occhio destro le mani a formare un piccolo tubo per restringere il campo visivo e guardare l’immensità del cielo.

 

Figlio di mio figlio,vieni qua – la voce risuonò nel suo cuore e il volto amato di suo nonno  ricomparve accanto a lui a riportarlo indietro , là da dove era partito.

-Vieni qua e osserva il cielo.  

 

Glielo aveva insegnato lui a cercare le stelle usando come cannocchiale la mano,  osì come, prima ancora, era stato insegnato a lui.

 

– Lo vedi il grande carro? Conta. Uno, due tre …sei e sette.  Alza lo sguardo cinque volte la lunghezza del lato del carro. Lo vedi quel puntino che splende? È il nord.

Ora torna indietro, volgi il capo dall’altro lato e cerca An –Nasr Al-Wa-qi , L’aquila volante,  la stella brillante. È lì che devi volgere il capo quando preghi. È  da lì che troverai la Qibla.

 

Badour ripeté il viaggio e cercò Vega. La vide brillare in alto al vertice del triangolo estivo. La vide  e si fermò a osservare il suo splendore e non cercò altro. Non pregava più da tempo.

Il cielo splendeva, l’incanto del silenzio lo avvolgeva e lui non riusciva più a sentire  il desiderio di cercare, tra quelle stelle, il posto di Dio.

C’era folla e silenzio nel suo cuore. C’era amore e rabbia. C’era tutto e molto di più e c’era uno squarcio profondo, un buco grande quanto l’infinito che sembrava inghiottire tutto il suo passato.

 

Rivide suo nonno; un vecchio signore ossuto, irrigidito dall’età, appollaiato sulla sedia, quasi cieco, con  quei fondi di bottiglia , tenuti insieme da spaghi e cerotti che usava quotidianamente ed i suoi occhiali nuovi, nascosti nel taschino perché non si sciupassero. Biascicava parole incomprensibili, sfiorandosi appena le parti del capo, del corpo. Ricordò la riverenza per quel vecchino che non rinunciava a cercare il suo Dio nonostante non potesse rendergli omaggio inchinandosi a lui, come facevano gli altri uomini della famiglia.

 

Poi rincontrò sua madre, quella donna che gli sorrideva continuamente da un vecchio ritratto, unico ricordo di lei, che era andata via senza che a lui fosse data la possibilità di ritornare per salutarla, l’ultima volta. Risentì la sua voce, il suo odore perso per sempre.

Rivide le finestre di casa sua, quella casa sempre piena di gente in cui ogni ospite era considerato sacro al pari di un principe.

Ripercorse le strade affollate di gente, colorate di finestre, balconi, veli di donna; i tappeti srotolati al canto del muezzin e il biancore accecante di corpi che si inchinavano al suolo , armoniosi e sincronici.

Dentro di sé lasciò che risuonasse il suono di quelle preghiere, un canto arrochito da tutte quelle erre che si arrotolavano una sull’altra, nella lode di un Dio , nel cui nome si viveva nella purezza dei pensieri,  nell’onore , nell’amore sacro  per la propria terra, per la famiglia, così come avviene in tutti i  posti in cui dimora Dio.

 

Non c’era più niente di ciò che aveva lasciato.

 

Sorrise a se stesso. Un sorriso dolce amaro. Era salvo. Lui.

E con lui una minuscola parte della sua famiglia. Gli altri…

Non riusciva a pensarci senza sentire il cuore sanguinare.

I palazzi della sua infanzia sbriciolati, i giardini sotterrati dalle macerie, e il suono melodioso delle voci che recitavano preghiere diventato un lamento continuo rotto soltanto da urla straziate lanciate al cielo.

Badour guardava il cielo e non desiderava cercare Dio

 

Figlio di mio figlio, lo sai dov’è Dio?

– Uhmmmmm …in cielo, nonno.

– Nient’affatto.

– Allora sarà qui intorno. Nei meravigliosi giardini del palazzo. A godersi il sole.

– Non essere impertinente. Rifletti – Lo ammonì con il suo sguardo fiero per riportarlo ad una seria ricerca.

– Non saprei, nonno – gli rispose corrucciato.

– È qui – gli disse toccandogli ripetutamente il cuore con il suo dito indice, rinsecchito dall’età – Dio è nel tuo cuore e nel cuore di ognuno di noi.

 

Dove si era perso Dio? Quel Dio che regnava nel cuore di “ognuno”?

Sicuramente si era messo in fuga pure lui per cercare un rifugio, qualcuno che lo accogliesse senza pregiudizi, qualcuno che sapesse dargli voce, forza, potere, qualcuno che lo consolasse di tutto il suo dolore.

Non poteva essersi dileguato nel nulla.

 

Badour pensò a tutte le persone che aveva conosciuto, a tutti i cuori che aveva toccato e da cui si era lasciato toccare per cercare di scorgere in ognuno di essi tracce della presenza di Dio, per tentare di riportarlo nel suo cuore.

 

Ogni volta che si era illuso di aver trovato un appiglio di amore a cui aggrapparsi,  un altro sopruso subito  aveva riportato a galla la rabbia sommersa; quando era sembrato che la nostalgia si  fosse assopiva e con essa i malumori del suo cuore, una nuova storia ascoltata, condivisa, lo aveva riportato indietro nel tempo .

Ogni volta che i suoi occhi erano sul punto di ricolorarsi di speranza, un’altra esplosione, un altro massacro, lo ripiombavano nel baratro.

E così aveva smesso di cercare Dio pregando.

Ma  nonostante ciò Dio si era insinuato anche nella sua vita.

Aveva mosso i suoi pensieri verso l’amore. La collera che nutriva verso l’ingiustizia della guerra, del sopruso, della discriminazione, gli armava le mani di buone azioni: prestava la sua voce a chi non sapeva farsi intendere, soccorreva quelli che necessitavano di sostegno, si dimenava per tutelare gli ultimi degli ultimi, comunque e dovunque essi fossero. Accoglieva con un sorriso chi teneva gli occhi bassi per l’umiliazione, e recitava versi melodiosi nella sua lingua antica, affinché  nella parte del mondo in cui era approdato,  quel suono dolce   sovrastasse la crudezza di versi urlati in nome di un Dio che non esisteva.

 

Badour era diventato un uomo di pace, di amore. Un uomo di Dio. Comunque.

– Figlio di Dio figlio, lo sai dov’è Dio? – ancora una volta la voce di suo nonno risuonò dentro di lui.

E forse fu il profumo dell’estate, forse la magia di quella notte che prese vita ma quella sera Badour lanciò un occhiolino al cielo –  stavolta non mi freghi – sembrava volesse dire, si batté il cuore tre volte e per un attimo ritornò felice come un bambino.


Articolo precedenteLa strada per Felicizia
Articolo successivoLa complessità: necessaria possibilità
Sono un’insegnante di Matematica e Scienze che adora raccontare ed ascoltare storie. Ho scoperto il potere terapeutico del racconto in un particolare momento della mia Vita e da allora scrivo storie che prendo in prestito dalla realtà. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo libro, È solo questione di tempo. La mia vita, una favola, edito da EtEt, casa editrice con sede ad Andria. Nel 2016 ho frequentato un corso di scrittura creativa con Tommy Dibari, coautore di trasmissioni televisive e scrittore. Nel 2019 viene pubblicato, edito da Progedit, il mio secondo libro, Ti prometto il mare, racconto fiabesco incentrato su storie di donne. Sempre nel 2019 ho frequentato un corso di scrittura creativa con Luigi Dal Cin, autore di libri per ragazzi ed insegnante presso la scuola Holden. Profondamente convinta del valore etico della comunicazione, nel 2019 ho perfezionato le mie competenze con un master in PNL, Programmazione Neuro Linguistica Bio-etica seguito e, nel 2021, con un master in Coaching bio-Etico, conseguiti entrambi presso il centro di formazione Ikos di Bari.