In TV: notizie di maltrattamenti, abusi, stupri, suicidi, atti di bullismo e violenze varie sono all’ordine non del giorno, anzi di ogni attimo.

Episodi che vedono coinvolti insegnati, preti, politici, operatori sanitari, giovani… per maltrattamenti, suicidi, abusi hanno l’effetto mediatico di uno show, che per la maggior parte delle persone stride come scandalo, per altri è minuta e indifferente considerazione. Nel peggiore dei casi si bersagliano gli “imputati” con giudizi, impropri e storie immaginarie con nomi rubati alla realtà.

Partendo dal presupposto che in questo tempo la società è formata, (mal)educata, da una cultura dalla “faccia bella, buona e vera”, che ha acquisito ogni tipo di strumento per manipolare qualsiasi dramma umano, resta il problema della paura, insita in ogni uomo o donna, di metterci la faccia. È la paura che gela il coraggio di osare, quel coraggio che serve per combattere il sopruso, la corruzione, l’omertà, emarginazione, l’abbandono che si barrica dietro i sistemi steccati che annientano la voce del singolo per diventare caso, locale, nazionale, internazionale e mondiale.

La comunità invece dovrebbe considerare la realtà con più obiettività e complessità, ponendosi con atteggiamento critico, denunciando minuziosamente i singoli casi da prospettive differenti e magari, qualora si riuscisse anche a porsi domande intelligenti, analizzare “il caso” guardandolo negli occhi e non solo con distratta superficialità.

È possibile che nessuno si accorga o sia sensibile alle storture del nostro sistema, corrotto, infame e schiacciante, in cui noi agiamo, più o meno consapevolmente, come piccoli ingranaggi?

Con ciò non si intende assolvere il colpevole, ma richiamare l’intero mondo sociale ed educativo alla corresponsabilità comune.

Anche perché le “responsabilità” per le proprie azioni e quelle altrui oggi si demandano soltanto ad organi, istituzioni, ed enti, un modo comodo per rimanere immuni, puri, per stare nella propria tana e aspettare il momento giusto per fare preda dell’altro, la persona, il debole e in difficoltà. Diventare responsabili per l’altro comporta fatica, dolore e soprattutto perdita di se stessi, delle proprie certezze, dei propri obiettivi, l’altro diventa la tua cifra e nulla più.

Prima di accondiscendere all’annientamento mediatico dell’altro, bisognerebbe, dunque, avere il coraggio di entrare nell’ottica del bene per l’altro, cercare di salvaguardare la sua vita. Fare meno “tv delle lacrime” e avere più rispetto per il dolore delle persone.

Al bene non c’è accanimento, non c’è violenza, ma custodia, un passo dopo l’altro, nel silenzio e nella certezza che un giorno tutto fiorirà: come una bimbo nel grembo della mamma.