Rinnovata per la 360^ volta la festa in onore di Sant’Efisio, martire guerriero che sconfisse la peste.

Cagliari, 1 maggio. Per la 360^ volta la città si è fermata per lasciar passare il santo martire Efisio, in un tripudio di colori e profumi, sospinto fino a luoghi del martirio da un mare di folla. I due imponenti buoi uniti dal giogo per il trasporto del simulacro del Santo, come ogni anno caratterizzati da nomi bizzarri nell’idioma locale (quest’anno “Mancai ci provasa” e “Non ci arrennescisi” ossia “Anche se ci provi” e “Non ci riesci”), sembravano galleggiare avvolti dalle migliaia di fedeli e turisti accorsi per la festa più importante della Sardegna e la processione a piedi più lunga d’Europa.

Fin dalle prime luci del mattino, la gente ha occupato le stradine dell’antico quartiere cagliaritano di Stampace, nella chiesetta a lui dedicata e in cui nei giorni precedenti le consorelle lo avevano vestito a festa e, con una solenne concelebrazione, intronizzato nel carro ligneo dorato che lo avrebbe accolto e condotto.

Si mischiano valori identitari di una cultura ancestrale e profonda con elementi sincretisti che immancabilmente fanno capolino, rappresentati da interi nuclei familiari giunti a Cagliari sopra le traccas, carri di campagna addobbati a festa con prodotti della terra e dell’orto e ricolmi di oggetti di uso quotidiano della vita di paese. Le coppie giovani tengono a procedere mano nella mano, mentre i neo genitori mostrano orgogliosi i propri piccoli tenendoli in braccio, anch’essi con il costume tradizionale.

Tutti diversi l’uno dall’altro, con una cura artigianale minuziosa e affascinante, ora con influssi arabi ora spagnoleggianti: scialli ricamati e colli inamidati, mantelli d’orbace – la classica lana sarda – e gambali di pelle. Il suono delle launeddas (canne di bambù animate dal soffio continuo e incessante, con le gote dei suonatori sempre gonfie, alla stregua delle sacche di cornamusa) ritma e cadenza il passo, alimentando la preghiera cantata del rosario in lingua sarda. Poco prima del passaggio del santo viene stesa sa ramadura: un tappeto di petali di fiori ed erbe aromatiche che colorano e profumano l’emozione che si staglia nell’aria, avvolgendo i presenti da visioni e aromi difficili da scordare.

Oltre l’ottanta per cento dei 377 comuni della Sardegna sono rappresentati in questo convenire di motivazioni intime e religiose, dal sapore di una fede antica trasmessa nei secoli nel nome di Efis, valoroso soldato al servizio del potere romano convertitosi al cristianesimo, durante una visione della croce che sembra richiamare il più famoso Costantino e che rimase impressa per sempre nella mano. L’incedere è solenne, la postura austera e fiera, a mostrare i colori della propria realtà e la collezione di ori che impreziosisce gli abiti. Ne deriva uno spettacolo affascinante che non lascia tregua, mentre le ali di folla applaudono e sorridono, richiamano l’attenzione e si esaltano.

La guardiania del Santo giunge nell’ottocentesco palazzo municipale per prelevare e scortare l’Alter Nos, il rappresentante del Sindaco, designato a rappresentare il potere civile. Guarda soddisfatto il giovane sindaco l’esponente della giunta con delega ai servizi sociali prescelto per il prestigioso incarico. Anche in questa occasione si sprecano i selfie, mentre un più controllato arcivescovo si concede a una foto di tanto in tanto, soprattutto con i bambini.

A tratti si fatica a riconoscere il vero protagonista dell’evento: sono molti ad apparire solo in certe occasione per ostentare se stessi e le proprie manie presenzialiste, non si rado sfruttando l’occasione per distribuire santini per l’imminente competizione elettorale di turno.

Non è facile conciliare l’aspetto folcloristico con la dimensione più intima e autentica dell’autentico cagliaritano: la fede in Efisio è talmente intima e personale che quasi si prova fastidio a “sopportare” l’invasione di tanti. Nel contempo si manifesta evidente l’orgoglio di chi accompagna un ospite proveniente dal resto d’Italia o dal mondo, fieri di mostrare l’espressione più significativa della sardità.

Il 1 maggio per Cagliari è sinonimo di Efis, ancor prima che festa del lavoro e di San Giuseppe: sarà per via del lavoro che manca, per la fatica di tante famiglie ad andare avanti e di tanti giovani a costituirne una propria. Così Sant’Efisio è invocato per debellare la peste di oggi: la disoccupazione e la crisi, lo scoraggiamento e la decisione forzata di abbandonare la propria terra per cercare altrove prospettive di impiego e impegno. All’arrivo del simulacro le lacrime solcano i volti e le mani si tendono quasi ad afferrare la speranza, invocando e chiedendo al santo martire la definitiva sconfitta dei mali che attanagliano luoghi e coscienze.

Alcuni lo seguono a piedi, fino al luogo del suo martirio, altri con lo sguardo, tutti col cuore. Per non lasciarlo solo, ma soprattutto perché Efis non lasci soli. Il 4 maggio rientra a casa, tre giorni d’assenza sono già troppi. Lo scioglimento del voto assunto solennemente dalla Municipalità per la peste debellata viene annunciato dal presidente della Confraternita all’Alter Nos e al rappresentante del Capitolo Metropolitano. L’applauso scrosciante ne decreta l’approvazione popolare, is goccius (strofe litaniche in quartine) fanno da colonna sonora conclusiva.

Da allora la vita riprende nella sua normalità e ordinarietà, caratterizzata da distrazioni e frenesie. C’è da scommettere sulle tante volte che Efis si chiederà, nel corso dell’anno, dov’è finita tutta quella gente.


Articolo precedenteGianni Maddaloni. La palestra del riscatto sociale
Articolo successivoLo scrittore che voleva diventare Gianni Rodari
Ignazio Boi (Cagliari, 1961), sposato, tre figli, giornalista pubblicista, esperto di formazione e comunicazione, funzionario della Direzione Politiche Sociali dell’Assessorato della Sanità della Regione Sardegna. Si forma in ambiente cattolico, dalla parrocchia ai movimenti dei Gesuiti. Obiettore di coscienza, nel 1983 diviene Segretario Nazionale della Lega Missionaria Studenti, promuove l’educazione alla pace, alla mondialità e la cooperazione allo sviluppo, cura il mensile “Gentes” e collabora alla rivista delle Comunità di Vita Cristiana. Consigliere e Presidente di Circoscrizione del Centro Storico di Cagliari dal 1985 al 1995, favorisce la nascita in Sardegna dell’Ipsia, ONG delle Acli, del Forum del Terzo Settore e del Forum delle Associazioni Familiari. Dirigente delle Acli e di Gioventù Aclista, fonda il Centro Pace e Sviluppo e con l’ente Enaip Sardegna dal 1986 al 2007 dirige attività e progetti di formazione professionale per “fasce deboli”, coordina programmi formativi internazionali e scambi di allievi tra paesi europei. Dall’Area Formazione della ASL, nel 2009 è chiamato nello staff dell’Assessore del Lavoro, promuove le realtà dei sardi nel mondo, particolarmente in Australia e in Argentina. Nel 2000 è ordinato Diacono permanente, impegnato negli Uffici diocesani di Pastorale Sociale e Lavoro e delle Comunicazioni Sociali, animatore di incontri, catechesi e formazione in diversi ambiti ecclesiali.