È risaputo che le lingue abbiano più o meno parole di altre lingue per descrivere particolari ambiti di esperienza. È altrettanto noto che ciò dipenda dal contesto geografico e culturale in cui tali idiomi sono usati. Gli andriesi sono specialisti negli schiaffi.

L’esempio più celebre è quello relativo alla parola “neve” per gli eschimesi. Avanzato per primo dall’antropologo Franz Boas e ripreso negli anni ’80 da Laura Martin, in questo caso si fa notare come i popoli del Polo Nord, da sempre vissuti in mezzo a sterminate distese di coltre bianca, abbiano 5 diverse parole per dire “neve”. Oltre a quella generale, ne hanno una per dire “neve sul terreno”, una per dire “neve che cade”, un’altra per “neve a vento”, infine una per “valanga di neve”.

 

Allora ho pensato alla mia lingua, non l’italiano, il dialetto, quello andriese. Noi la neve al Sud la vediamo col binocolo, più o meno ogni 10 anni. Scartata questa ipotesi, dunque, non senza averci rimuginato a lungo, sono giunto alla conclusione che l’ambito di esperienza in cui la mia lingua sfoggia una varietà lessicale superlativa, è quello degli schiaffi. Che io sia riuscito a contare, facendo mente locale, ci sono almeno 10 parole che identificano tipi differenti di percossa. Ora, se gli eschimesi vivendo in mezzo al ghiaccio si sono specializzati sulla neve, noi che ci siamo specializzati sugli schiaffi immaginatevi in mezzo a cosa viviamo.

Oltre al termine generale, sckaf, ci sono modi diversi di nominare i ceffoni a seconda del movimento che compie la mano, del punto che si è intenzionati a percuotere o del valore morale che s’intende dare all’atto. Proviamo ad esaminare caso per caso.

Vè i vinn. Vuol dire “andata e ritorno”, “diritto e rovescio”, in inglese “round trip”. In realtà sono due schiaffi, ma che formano un unicum indivisibile. Il primo schiaffo viene inferto con il palmo della mano sulla guancia sinistra della vittima, l’altro, appena dopo, con il dorso della mano sulla guancia destra. Se sei mancino, il contrario. È uno schiaffo molto teatrale e agendo su una guancia, ma anche sull’altra guancia, evoca scenari biblici. Nell’infliggerlo è importante mantenere il polso sciolto e rilassato. Fra i suoi pregi c’è quello di offrire la possibilità di adattare l’intensità alla situazione, a seconda che lo schiaffo di ritorno venga dato con la punta delle dita o con le nocche.

Stusciamuss. Letteralmente il “detergi-labbra”. È uno schiaffetto affettuoso, direi un buffetto, se sapessi cosa sia il buffetto. Si chiama così perché si assesta nella parte bassa del volto, in prossimità della bocca. È uno schiaffo che contiene una carezza: la mano entrata in contatto con il viso indugia su di esso, come il tovagliolo nell’atto del pulire. Più che far male, dà fastidio, innervosisce, soprattutto se dato in rapida successione. È comune nelle coppie d’innamorati quando si fa la lotta per finta. Per una resa ottimale è consigliabile prima bloccare le mani della vittima e successivamente procedere con gli Stusciamuss.

Scaplatuz. È lo “scappellotto”. Su di esso non mi dilungo. È un colpetto debole dato dietro la testa. Spesso svolge la funzione di Stattattind, ossia di avvertimento, di segnale d’insofferenza verso qualcuno in condizione di subalternità (un figlio, un fratello, un nipote, un apprendista). Non va confuso con la Scazzet che non è uno schiaffo, e pur essendo di solito assestato nello stesso punto dello Scaplatuz, prevede l’uso di due mani intrecciate e il controbalzo.

K-zzet. Prende il nome dalla parte del corpo che percuote, cioè il collo. Molto comune fra gli adolescenti, è un tipo di schiaffo che si usa per giocare, niente di serio. Di solito non è doloroso, anche se rende la nuca in breve di un colore rosso vivido. Più che altro fa rumore: u K-zzet sarà tanto più riuscito quanto più risuonerà. Non è facile assestarlo, serve una certa pratica. Le nuche infatti variano da persona a persona e assumono forme diverse. C’è quello magro a cui sporge la spina dorsale, o quello grasso con l’area da percuotere molto ridotta. Senza contare l’intralcio rappresentato da colletti e collanine. L’abilità sta nel dare alla mano una forma complementare a quella del collo, così da ottenere, al momento del colpo, un suono che si avvicini il più possibile a quello dello splash della batteria. Le migliori sono le nuche piatte, mentre una vera e propria prelibatezza sono quelle pianeggianti e lunghe, che si prestano addirittura al K-zzet verticale. Questo schiaffo, essendo un gioco, è uno schiaffo di principio. Ossia una volta ricevuto, non importa quante ore o giorni o mesi ci vorranno, andrà vendicato, così da chiudere il cerchio dell’amicizia.          

Sckaf du varvir. Letteralmente “schiaffo del barbiere”, è uno schiaffo composto. È formato da un K-zzet – di cui può essere considerato una variante – a cui aggiungere un Ve i vinn. Il suo nome deriva dal fatto che la mano disegna sul collo la stessa traiettoria del pennellone del barbiere quando ti spazzola la nuca dai capelli residui, una volta finito il taglio.

Solepiatt. Deve il suo nome a un famoso detersivo, il Sole Piatti appunto. L’appellativo è solo evocativo, in realtà con il prodotto non centra niente. Consiste in due schiaffi dati contemporaneamente e specularmente con entrambe le mani, su ambo i lati della faccia. Esempio mirabile di questa pratica la fornisce Lino Banfi in “Vieni avanti cretino” quando incontra un prete che non vedeva da anni davanti al Colosseo. È uno schiaffo molto umiliante per chi lo riceve, ferisce soprattutto nell’anima. Mentre è motivo di vanto per chi lo dà.

Strkkiaun o Chiattaun. I due termini sono sinonimi, ma indicano la stessa cosa, in italiano, il “ceffone”. È un pezzo grosso fra gli schiaffi, uno che conta. In questo caso quello su cui focalizzare l’attenzione è il suffisso “aun”, che non sta lì a sproposito. Sta invece ad indicare la maestosità, la possenza dell’atto di cui stiamo parlando. Lo Strkkiaun o Chiattaun che dir si voglia, è uno schiaffo a mano aperta, quasi sempre diretto sulle guance, ma anche sulle cosce o sul sedere. È uno schiaffo, come il K-zzet, ad effetto bi-sensoriale, coinvolge sia il tatto che l’udito. Il dolore inferto dal colpo in sé infatti, viene amplificato dal suono dello schioccare della mano sulla pelle. Questo suggestiona la vittima e ne acuisce l’effetto. Sono molto comuni fra i genitori, sui figli, ma quasi mai vengono dati a sproposito. Sono gli schiaffi di quando l’hai fatta sporchissima, ignorando gli Stattattind lanciati precedetemente. Vanno usati con parsimonia, se proprio si deve, questo papà e mamma lo sanno. Un genitore è stato figlio egli stesso, e ben ricorda quelli che ha beccato a sua volta. Gli strkkieun sono per sempre. Quasi tutti, indipendentemente dal tempo che è passato, hanno ricordo inscalfibile di 2 o 3 Strkkieun beccati. È uno schiaffo dal valore etico, ti spiega il limite e te lo imprime a futura memoria: capisci cosa è bene e cosa è male.

Sbfttaun o Mattaun. Anche questi sono sinonimi e in italiano sono intraducibili. Sono percosse abbastanza potenti, a metà fra lo schiaffo e il pugno (notare anche qui il suffisso “aun”). Per essere ben riusciti, a darli deve essere una mano pesante, ed è per questo che di solito sono protagonisti delle liti fra maschi. Il rumore che fanno è sordo e ovattato, ma guadagnano in incisività. Zero effetti speciali, tutta sostanza. Alcuni li confondono con gli strkkieun, ma sono indubbiamente più cattivi. Si capisce bene la differenza osservando la mimica quando li si nomina. Se si nomina uno Strkkiaun si mostra il palmo della mano rivolto verso l’alto, tenuto basso ad altezza cintola; mentre nominando uno Sbfttaun si mostrerà il gomito portandolo ad altezza del viso, per rendere l’idea di quanta rincorsa si farà prendere alla mano.

Infine c’è il Matrmonij d sckaf. Non è una tipologia particolare, bensì un melting pot di tutti gli schiaffi elencati fin qui, una babele di sberle. Il matrimonio (inteso come il giorno della festa) per gli andriesi è qualcosa di mastodontico, duraturo, dispendioso, difficile da portare a termine. Così parlare di “matrimonio di schiaffi” significa parlare di una mattanza. Non vuol dire far sposare i ceffoni, piuttosto che ti prendo a schiaffi finché morte non ci separi. Se qualcuno ti minaccia di matrmonij d sckaff e ha le qualità fisiche per dar seguito alla sua minaccia, non resta che scappare a gambe levatissime. Stare a spiegare che tu sei sempre stato più per la convivenza non servirà a niente.

Gli antropologi del linguaggio Sapir e Whorf sostenevano non solo che fosse vero che una lingua si specializza in base agli ambiti di esperienza di fronte a cui si trova, ma che fosse vero anche il contrario. “Se una lingua codifica una particolare esperienza del mondo” sostenevano i due, “il farne uso può predisporre i parlanti a vedere il mondo sulla base dell’intuizione che essa ne offre”. Cari concittadini di Andria, buona fortuna.

 


2 COMMENTI

  1. Articolo di grande livello culturale e umano. Spiega la bellezza incancellabile dei suoni onomatopeici delle nostre sberle. Puoi vivere da cinquant’anni lontano da piazza Catuma, ma quei suoni li riconosci subito, nonostante non ti sia mai soffermato sulla grafia che li racconta. Grazie, Andrea.

  2. Allora lo strkkiaun per modalità e ambito di utilizzo è l’equivalente della mmuffittuna siciliana, diversa dalla tumpulata xkè emette un suono più forte e produce un bruciore più intenso. La tumpulata invece è per mani robuste, suona in modo più ovattato e più ke bruciore, produce dolore alle ossa della guancia o alla pelle ke si avverte come deformata!

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