Quando il forestierismo inganna. O perlomeno è brutto

Anche le parole hanno una loro borsa valori, ci sono parole le cui quotazioni calano, calano, fino a scomparire, lasciando pallidissime tracce, ci sono parole che invece invadono il mercato, lo monopolizzano, s’infiltrano dappertutto. In genere sono parole brutte, quasi sempre d’importazione, a testimoniare quanto la nostra lingua sia poco amata, a certificare quanto siamo permeabili alle mode, disposti a lasciarci colonizzare senza opporre resistenza alcuna.

Una delle più brutte in circolazione è “location”. Non c’è articolo di giornale, messaggio pubblicitario, conversazione comune che ne risulti esente. Ci sono due atteggiamenti con i quali utilizzarla: il primo è di pura gregarietà, di conformismo linguistico: la usano tutti, la uso anch’io. L’altro atteggiamento è invece attivo: la uso consapevolmente perché di moda, fa tendenza, m’illudo di apparire al meglio dello splendore. Probabilmente questo secondo atteggiamento fa più danni dell’altro, perché contribuisce alla diffusione di questa orribile parola. La rende infestante e infettiva. In italiano esiste ubicazione, certamente desueta, più complicata, ma con molti quarti di nobiltà. Location tra l’altro deriva da locus, luogo, e testimonia del tempo in cui era la nostra lingua a colonizzare le altre.

Nei corsi e ricorsi le parole vanno, si perdono, ritornano. L’aspetto peggiore della faccenda è che spesso è la lingua del potere a servirsi in maniera subdola di parole straniere, a cominciare dal “job’s act”, per passare alla “stepchild adoption” e finire al “fertility day”. Perché confondere le acque attraverso una lingua torbida, di non immediato accesso, ambigua, è molto più utile della chiarezza, la quale può essere controproducente, rivelatoria di manovre altrettanto ambigue, come appunto è stato il job’s act, e come in genere sono tutte quelle azioni che si cerca di mascherare con parole non chiare.

La lingua dei giornali risulta altrettanto contaminata, la lingua della televisione si adegua a quella del potere, e non ci sono ambiti che non ne siano pervasi. Ho lavorato molti anni in banca, e le circolari, persino le comunicazioni pubblicitarie erano, e sono tuttora, infarcite di termini stranieri, che dimostrano con evidenza piena la volontà d’ingannare.

Chiediamoci: c’è qualcuno ormai che si fida ancora del potere? qualcuno si fida dei giornali e della televisione? e delle banche? e della pubblicità?

Ecco, quindi, un terreno di sfida, una base di ripartenza per ripristinare la fiducia venuta meno: la lingua. Parlare e scrivere in maniera chiara, semplice, diretta, ha qualcosa di rivoluzionario, ha il sapore della novità. Serve a restituire fiducia, trasparenza, a migliorare i rapporti umani, a renderli più efficaci e sinceri, a rendere critico e consapevole l’uso delle parole, a scegliere, e anche a salvare, quelle meritevoli.

Ho letto i risultati allarmanti di una ricerca: uno studente liceale negli anni Settanta disponeva di circa millecinquecento parole. Oggi ne padroneggia circa trecento. Questo significa un impoverimento del pensiero, della comunicazione, della scrittura. Ed essere più poveri non è una bella prospettiva. Può essere paragonato al processo di desertificazione. È un tipo di povertà che favorisce l’invasione di orribili parole come location, una povertà che favorisce gl’inganni del potere.


Fonteit.wikimedia.org
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Paolo Polvani è nato nel 1951 a Barletta, dove vive. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: Nuvole balene, ediz. Antico mercato saraceno, Treviso 1998; La via del pane, ediz.Oceano, Sanremo 1999; Alfabeto delle pietre, ediz. La fenice, Senigallia, 1999; Trasporti urbani, ediz. Altrimedia, Matera 2006; Compagni di viaggio, ediz. Fonema, Perugia 2009; Gli anni delle donne, e-book, edizioni del Calatino, 2012. Un inventario della luce, ediz. Helicon 2013. Cucine abitabili, Mreditori, 2014 Una fame chiara, edizioni Terra d’ulivi, 2014. Sue poesie sono state pubblicate da numerose riviste, tra cui: Anterem, Steve, L’immaginazione, Il filo rosso, La Vallisa, Portofranco, La corte, L’area di Broca, Le voci della luna, Offerta speciale, Quinta generazione, L’ortica; e su numerosi blog, tra cui: Carte sensibili, WSF, Fili d’aquilone, Poiein, Corrente improvvisa, La presenza di Erato, Poliscritture, La bella poesia. E’ presente in molte antologie, tra cui: Dentro il mutamento, edito dalla casa editrice Fermenti nel 2011 e in varie antologie tematiche, tra cui Il ricatto del pane, ed. CFR, Rapa nui, ed. CFr, e 100 mila poeti per il cambiamento, Albeggi editore. Ha vinto diversi premi di poesie. E’ tra i fondatori e redattori della rivista on line Versante ripido, che pubblica alcuni tra i poeti più interessanti del panorama letterario italiano e internazionale. Fa parte dell’associazione Autorieditori che promuove la pubblicazione e la diffusione della poesia.