Continelli fetonte

La mattina del 30 giugno 1908, a Tunguska, in Siberia, un meteorite devastò il paesaggio con un impatto dovuto all’accidentale incrocio con una stella cometa nei pressi di una ancora sconosciuta fonte di energia. Quanto accadrà il prossimo lunedì 25 gennaio di casuale e fatalistico ha davvero ben poco.

L’appuntamento col “Discorso sul mito” è ad Andria, in Corso Cavour 148, sipario alle 19.30: l’energia è sempre la stessa, un’adrenalinica voglia di cultura che il cantiere culturale Materia Prima riverserà sulla supernova del talento recitativo, un’esplosione di emozioni da cui varrà assolutamente la pena essere travolti.

Ahi, la vita, un perfetto incastro di inganni ostentati davanti ai nostri nolenti occhi, un canovaccio di parole che conosciamo a memoria, diaboliche maschere di chi fa dell’invidia il proprio bigliettino da visita. D’altronde la letteratura è tutta qui, romanzati aneddoti farciti di leggenda, inconfessabili bugie sul bene che sconfigge un indesiderato male, mentire perché, in fondo, dentro noi alberga il feroce desiderio di frequentare gironi infernali. Una Divina Commedia, insomma, la lacerata sofferenza divisa in tre atti, un dolore che Dante, nel XVI Canto dell’Inferno, attribuisce al demone Gerione, indiscutibile allegoria di falsità.

Del resto, ammettiamolo, il mito ci ha sempre affascinato o, meglio, ad attrarci è stata sempre la sua coscienziosa alterazione della realtà. Senofane lo aveva sospettato, malignando che Omero ed Esiodo offrissero solo tutto ciò che è vergognoso e riprovevole tra gli uomini. E non abbiamo ancora scomodato Platone il quale, ne La Repubblica, attacca i racconti tradizionali, opponendosi soprattutto ai caricaturali Dei della mitologia greca. Eppure, Ismail Kadarè non si stancherebbe mai di sottolineare il potere che l’antichità greca possa infondere a fugaci ideali di celato modernismo. La notizia, oggi, viaggia nell’etere, catturata dal primo comunicato stampa, fagocitata dalla banalità di una testata giornalistica di quart’ordine. O tempora, o mores, quelli di squattrinati cantastorie che, nei secoli, si sono trasformati in eccellenti uomini di cultura, addolcendo la loro magica voce con pillole di arte teatrale, sorseggiando, magari, un rassicurante flut di saggezza. Brindare alla gioia dell’illusione, e, proprio da quel brindisi anzi, da quella Brindisi, è atterrato sul nostro pianeta cittadino, Vittorio Continelli.

Uomo ancor prima di attore, cronista e dispensatore di sogni, Vittorio narra con delicata eleganza la storia di una luce mai spenta, la visione di un trascendente buio, la fisicità che danza con il divino Fetonte.

Fetonte splendente, l’orgoglioso, quasi uomo viveva ancora con la figlia di Oceano e Teti: Climene, sua madre, la quale fece crescere il giovane nella convinzione d’essere figlio d’un dio. E un giorno, adolescente, in giro coi compagni uno lo apostrofò – figlio della fortuna. Fetonte ascoltò rabbrividendo una storia su di sé: non era figlio d’un dio ma d’un mortale come tutti gli altri. Sconvolto, ossessionato dall’insulto, dall’insinuazione e in lacrime per la rabbia subito corse da sua madre coi compagni che lo deridevano, urlandogli dietro. Urlando anch’egli, sbraitando, sbattendo i pugni il ragazzo raccontò dell’umiliazione a Climene, chiedendo alla donna, una volta per tutte chi fosse davvero suo padre. E quella piccata per l’accaduto, orgogliosa almeno quanto il figlio, lo guardò negli occhi e alzando il braccio indicò il Sole: non fosse come io dico che il Dio mi renda cieca all’istante! Poi la donna si tacque.

Parte da questo episodio l’ascesa del figlio del Sole verso altezze che sono difficili da sostenere anche per chi abbia origine divina. Un racconto sulla vita e sulle stelle.