Parità e non uguaglianza. Anche visivamente, uomini e donne non sono uguali

Ne scrivevamo in Femina Superior: se quel baldanzoso giovanotto fosse entrato in auditorium avrebbe compreso.

C’è una pericolosa e radicata ignoranza a riguardo del femminismo. Chi non ne sa nulla, di più che il nome, può essere ingannato dalla sua somiglianza fonologica con il termine maschilismo, con cui tuttavia non ha altro da condividere che una desinenza. Il maschilismo è una forma di sessismo che sostiene la superiorità economica, politica e sociale dell’uomo rispetto alla donna.

Il femminismo non è il contrario. Chi è femminista non sostiene la superiorità della donna rispetto all’uomo, ma difende la parità economica, politica e sociale dei due sessi. Parità e non uguaglianza. Anche visivamente, uomini e donne non sono uguali. La parità vuole che, anche essendo diversi, abbiano gli stessi diritti e la stessa dignità.

Purtroppo le incomprensioni non sono alimentate solo unidirezionalmente. C’è anche chi, all’interno del movimento femminista, si spaccia per attivista mettendo alla luce i propri ideali sbagliati e talvolta misandrici.

Uno dei dibattiti più recenti all’interno del movimento riguarda la proposta di modificarne il nome. Forse se lo chiamassero egualitarismo, collegarlo al suo vero significato risulterebbe molto più semplice, anche in assenza di qualsiasi altra conoscenza in ambito sociologico. Eppure significherebbe ignorarne la storia, che ne costituisce la corteccia e si articola in quattro grandi ondate.

La prima risale al 1913, e vede protagoniste le suffragette, donne che combatterono per le donne e con le donne, con l’obiettivo primario dell’estensione del diritto di voto alla popolazione femminile.. La lotta per il suffragio universale sarebbe stata lunga e logorante: in Italia, esso venne approvato solo nel 1946, molto dopo la Turchia (1930), la Danimarca (1917), la Finlandia (1906), la Germania (1919), l’Irlanda (1918), il Lussemburgo (1918), il Regno Unito (1918), la Spagna (1931), la Svezia (1917), la Norvegia (1913) e la Russia (1917).

Le suffragette continuarono ad animare anche la seconda ondata di femminismo, che si data al secondo dopoguerra (1945 circa), combattendo ancora per il voto, il potere di decidere per il proprio corpo (dall’abbigliamento all’aborto), e contro la dicotomia “Santa o Cortigiana”. Le femministe degli anni Cinquanta volevano dimostrare di poter essere qualcosa di più che brave mogli dedite alla casa e alla prole, o donne di strada, senza pudore e senza dignità.

Della terza ondata di femminismo, che ha animato gli anni Novanta, è stata protagonista la musica, con la comparsa delle prime band femminili a svettare nelle classifiche dei generi pop (Spice Girls e Destiny’s Child) e punk rock (Bikini Kill). Le donne non avevano bisogno degli uomini per lavorare, per guadagnare, avere successo; potevano essere acclamate da un  vasto pubblico sui palchi più ambiti del mondo. Il sesso maschile ne è stato disorientato, fino alla conseguenza della sua demascolinizzazione.

L’attuale “quarta ondata di femminismo” vede protagoniste ancora le donne, con le donne, per le donne, ma oggi il movimento si rivolge soprattutto al sesso maschile, invitandolo a parteciparvi. L’appello si è concretizzato nella campagna “He for She”, presentata il 21 settembre 2014 dall’attrice britannica Emma Watson, in qualità di ambasciatrice del settore UN Women delle Nazioni Unite. Nel suo memorabile discorso, il cui video ha ottenuto milioni di views sul web, la Watson ha evidenziato come gli uomini rinuncino spesso a essere sé stessi perchè prede del giudizio negativo della società verso determinati comportamenti, non a caso considerati più “femminili”. Viene insegnato loro a mantenere un’aurea sacra di virilità a qualsiasi costo, anche a costo di prendere la strada sbagliata, per risultare “veri maschi”, anche a costo di rinunciare a manifestare spontaneamente le proprie emozioni, per non essere apostrofati “femminucce” dai propri compagni.

Ma —come ha dichiarato la Watson— non è possibile cambiare il mondo se solo metà di esso si sente invitato a partecipare alla conversazione.

Dal manifesto di He for She partono i presupposti per una futura, e si spera imminente, quinta ondata di femminismo, la quale non vedrà più donne occuparsi di donne, o uomini occuparsi di donne o donne occuparsi di uomini o uomini occuparsi di uomini.

Ci saranno persone a preoccuparsi di persone, i cui diritti e la cui dignità verrano difesi al di là di ogni differenza, di genere, di etnia o di cultura.