Ieri domenica 22 aprile si è tenuta la maratona di Cracovia. Un atleta inviato del Festival della Disperazione vi ha preso parte con l’esplicito obiettivo di arrivare ultimo. Per dimostrare cosa? Lo abbiamo avvicinato perché ci spiegasse il senso della misteriosa impresa

Ciao Max, raccontaci un po’ come è andata la gara: è stato difficile arrivare ultimi?

Ciao Andrea, innanzitutto grazie per l’intervista. Dunque, la gara è andata per fortuna malissimo, quindi alla grande: sono arrivato ultimo! Era l’obiettivo che mi ero preposto e avevo tutti i ragazzi del Festival della Disperazione che tifavano per me. Non volevo assolutamente deluderli perché fra tanti perdenti loro hanno scelto proprio me per quest’impresa, sentivo una gran responsabilità.

Ti dico la verità, la cosa più difficile non è stata la corsa in sé, ma il non entrare in competizione. È stata dura soprattutto quando gli altri hanno provato a provocarmi urlando frasi come “chi è ultimo è scemo” o “chi è ultimo paga da bere per tutti”. Ho dovuto lasciarmi scivolare addosso numerosi insulti, e ho dovuto anche pagare 780 euro di cicchetti di vodka la sera, ma a posteriori ti dico che ne è valsa la pena.

Per quante ore al giorno non ti sei dovuto allenare per raggiungere questo risultato?

Il calcolo è molto semplice. Tieni conto che un top runner si allena 2 volte al giorno correndo circa 3 ore per ogni sessione. Io dovendo arrivare ultimo ho seguito lo stesso piano di allenamenti, ma restando sul divano. La mattina mi svegliavo ogni giorno alle 05:30 e restavo sul divano fino alle 08:30. Voi direte che potevo rimanere a letto che sarebbe stata la stessa cosa, ma non è vero.

Sul divano infatti mi veniva anche l’istinto di mangiare, cosa che mi ha aiutato appensantendomi non poco. Poi filavo a lavoro. Una volta tornato alle 19:00, altre 3 ore di divano più cena. La cosa difficile era non muoversi affatto così da sprecare meno calorie possibili e assimilare tutto. L’ultimo mese ad esempio ho smesso anche di usare il telecomando per cambiare canale.

In gara con te c’erano anche dei vecchi o gente con problemi di deambulazione: non ti è mai venuta voglia di superare qualcuno?

Se ti dicessi di no sarei un falso. C’erano alcuni che andavano veramente pianissimo. Però tutto sommato sono riuscito a mantenere il controllo della gara senza mai lasciarmi prendere dall’entusiasmo. Si sa che lo sport, la corsa in particolare, è tutta questione di concentrazione, le gare prima che con le gambe si perdono con la testa.

C’è stato solo un momento in cui ho pensato di non farcela, cioè quando un signore di settant’anni ha iniziato ad andare all’indietro. A un certo punto si è fermato per prendere ossigeno, poi forse disorientato, si è messo a correre verso la partenza. Li sono andato nel panico perché ero pronto ad andare pianissimo, ma tornare verso il via no, non l’avevo previsto. Per fortuna poi gli hanno fatto segno che era la direzione sbagliata e la situazione è rientrata.

Ci sono un sacco di giovani adesso che guardano a te come a un modello, che vorrebbero saper perdere come te. Prima cosa ti chiedo tu dove hai imparato a farlo così bene. E poi quali consigli ti senti di dare a questi aspiranti perdenti.

Bè posso dire che come tutte le imprese degne di questo nome non è qualcosa che s’improvvisa, che puoi fare da un momento all’altro. Io ho la fortuna di aver iniziato a perdere fin da piccolo. Ho due fratelli più grandi di me, ed è chiaro che da piccolo perdessi ogni volta che giocavamo insieme. Loro, del resto, non perdevano occasione perché ciò avvenisse. Oggi mi sento di ringraziarli, questa sconfitta è un po’ anche la loro.

Per quanto riguarda i ragazzi, quali consigli potrei dare? I soliti. Partire scoraggiati, mantenere una bassa autostima, arrendersi alla prima difficoltà, non crederci fino in fondo. Soprattutto, questo è fondamentale, avere sempre pronta una lista di fattori a cui dare la colpa per l’imminente insuccesso: un complotto degli altri ordito contro di te, non essere raccomandato, essere sfigato. L’importante comunque è non prendersi le proprie responsabilità, poi il resto vien da sé.

Chi te l’ha fatta fare di perdere la dignità per il Festival della Disperazione?

Se pensi che arrivare ultimi voglia dire perdere la dignità allora non hai capito molto della vita. Credi sia una cosa facile arrivare ultimi? Ti faccio solo un esempio. Fra il 1946 e 1952 al Giro d’Italia si assegnava la maglia nera, spettava all’ultimo classificato. La gente faceva a gara per averla, perché era l’occasione per quelli senza talento di mettersi in mostra. In particolare i ciclisti Sante Carollo e Luigi Malabrocca erano i migliori in questo, cercavano di perdere più tempo possibile rispetto all’altro nascondendosi nei bar, nei fienili, forando le loro stesse ruote. Questa è storia, non mi sto inventando niente.

Ecco che fra il Festival della Disperazione e me c’è stata un’unità d’intenti. Insieme abbiamo voluto dimostrare che è possibile tifare sconfitta e, in questo senso, ho incarnato la sconfitta di molti. E poi abbiamo voluto dimostrare che non è vero che gli ultimi saranno i primi, resteranno comunque ultimi “se i primi sono irraggiungibili”. Dunque non resta che esserlo con dignità e senso di responsabilità. L’ultimo è quello destinato a guardare le spalle agli altri e il suo premio non è una medaglia, ma, semplicemente, la fiducia di tutti.

Progetti per futuro?

Tante idee bollono in pentola. Innanzitutto vorrei lanciare una raccolta firme perché si istituisse nelle maratone la maglia nera da assegnare all’ultimo classificato, come si faceva nel ciclismo a inizio anni ’50. Sarebbe un bel gesto per dire che a questa società non sono solo i vincenti ad interessare. La mia idea è partire dalla maratona, perché è il mio sport, ma poi allargarsi a tutti gli altri. Credo che sia un riconoscimento che starebbe bene in qualsiasi disciplina.

Poi vorrei iniziare a girare per le scuole per tenere dei corsi. Come primo ciclo terrei il “corso di rassegnazione”. È un corso già sperimentato nella prima edizione del Festival della Disperazione, ed era andato molto bene, quindi vorrei dargli un seguito. Infine, questa è un’anticipazione, mi hanno chiesto di scrivere un libro: “Imparare a perdere. Come riuscirci in 10 semplici mosse”. Credo che mi dedicherò a questo.


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"Andrea Colasuonno nasce ad Andria il 17/06/1984. Nel 2010 si laurea in filosofia  all'Università Statale di Milano con una tesi su Albert Camus e il pensiero meridiano. Negli ultimi anni ha vissuto in Palestina per un progetto di servizio civile all'estero, e in Belgio dove ha insegnato grazie a un progetto dell'Unione Europea. Suoi articoli sono apparsi su Nena News, Lo Straniero, Politica & Società, Esseblog, Rivista di politica, Bocche Scucite, Ragion Pratica, Nuovo Meridionalismo.   Attualmente vive e lavora a Milano dove insegna italiano a stranieri presso diversi enti locali".