Storia breve, ma non troppo, di una crisalide trasformata in farfalla, tra un'andata, un Brexit e... un nuovo volo.

Storia breve, ma non troppo, di una crisalide trasformata in farfalla, tra un’andata, un Brexit e…  un nuovo volo.

Erasmus. Quando sono partita, sei mesi fa, sapevo esattamente come sarebbe andata a finire: malinconia, montagne di fazzolettini impregnati di lacrime, promesse per non perdersi di vista e la voglia di rimettersi in viaggio per una nuova meta.

Quello che non sapevo, però, è tutto ciò che ci sarebbe stato nel mezzo, l’incredibile ed eccentrico viaggio chiamato Erasmus.

Insomma, a me è sembrato durare un battito di ciglia, ma sei mesi sono tanti. Se ci penso, per quantificare il tempo trascorso in terra britannica, posso dire di aver visto susseguirsi tre stagioni, inverno, primavera e poi estate (certo, non che abbia potuto osservare una tangibile differenza tra le tre). Tre stagioni su quattro è un bel lasso di tempo.

Questi buontemponi hanno anche avuto il tempo di votare l’uscita del loro Paese dall’Unione Europea, con mio grande disappunto. Ne ho avuti di dibattiti parecchio accesi con gli sfortunati inglesi che mi sono capitati a tiro, ma questa è un’altra storia.

Dicevamo.

Ricordo distintamente il giorno del mio arrivo a Birmingham. Stanchezza post scalo notturno a Barcellona (con scarsi risultati nel dormire, diciamo pure un totale fallimento), pioggia battente, grigio lattiginoso ovunque mi voltassi, valige pesanti e nessuno ad aspettarmi. Sì, credo sia questo il ricordo più vivido, che poi sarebbe un non-ricordo: non c’era nessuno lì per me.

Prima di lasciare l’Italia ero troppo presa con i preparativi. Cosa mettere in valigia e cosa no, assicurarsi che le noiose scartoffie burocratiche fossero in ordine, salutare amici e parenti (tutti inevitabilmente preoccupati per la mia futura dieta anglosassone), inviare mail alle agenzie immobiliari per decine di potenziali stanze. Poi atterri, superi i controlli, hai abbastanza fortuna da recuperare il tuo bagaglio dal nastro e quando rimetti in moto il cervello ecco che arriva la doccia fredda: sei sola in una città dove non sei mai stata prima, dove non conosci nessuno, dove frequenterai una nuova università piena di uffici e aule sparse ovunque per il campus (enorme, serve perfino una mappa per orientarsi) e sì, ti fai prendere dal panico e dalla voglia di girare i tacchi e dartela a gambe.

Poi però prendi un respiro profondo e capisci che, anche se dovrai cavartela da sola per i successivi sei mesi, sarà fantastico. E poi, sei partita proprio per questo: metterti in gioco, fare nuove esperienze, crescere, dimostrare a tutti di essere all’altezza.

Basta ingranare la marcia e poi è tutto in discesa. Quando scopri di aver fatto un buon affare per la stanza, quando inizi a conoscere nuove persone in università, persone che come te sono state catapultate in una dimensione parallela e surreale, e all’improvviso sei meno sola. Anzi, hai sempre gente intorno, e rimanere un attimo da sola con te stessa è sempre più difficile. Mille impegni a tutte le ore del giorno, persone da incontrare, posti da visitare, faccende da sbrigare.

Nemmeno te ne accorgi, ma nel frattempo cresci. Cambi, ti trasformi, ed è come se a casa avessi lasciato una goffa crisalide vuota e te ne stessi andando in giro come una farfalla dai colori sgargianti. Il fatto è che alla fine le farfalle non tornano nella crisalide. In quel momento sospeso in aria, in cui non sei in nessun posto, durante il viaggio di ritorno, realizzi che non sei più quella farfalla perché tutte le cose devono finire prima o poi. Ma non stai nemmeno tornando nella vecchia crisalide, che ormai è troppo piccola e non più adatta ad accogliere la tua nuova forma. No, ti stai trasformando in qualcosa di nuovo, non sai ancora cosa, ma scoprirlo sarà la parte migliore.

Ora, andare via è stato esattamente come arrivare: stessa stanchezza per le poche ore di sonno, la pioggia, il grigio deprimente della stazione centrale e i bagagli da trascinarsi dietro. Questa volta, però, avevo qualcuno con me, qualcuno che fisicamente mi ha accompagnato in stazione per un ultimo abbraccio, e tutti coloro che hanno fatto parte di questa scapicollata avventura, ai quali riserverò un posto speciale nella mia anima, sotto un riflettore abbagliante per impedire al ricordo di sbiadire a poco a poco.

Qui sta il senso di un’esperienza del genere: la persona che diventi grazie alle persone che incontri. E potrai anche non aver fatto molto nel tempo trascorso, ma se quando sei arrivata eri sola e quando vai via c’è anche soltanto una nuova persona con te, è già un successo. Le tue tracce sono lì da qualche parte, nelle strade in cui hai camminato, sulle persone che hai toccato. Indelebili.

Se ne avrete la possibilità, andate in Erasmus, o convincete un vostro amico a farlo, o più semplicemente prendete un treno, un aereo, qualsiasi mezzo e partite. Non rimanete nel porto sicuro, affrontate la tempesta, fatevi mandare fuori bordo dalle onde, urlate contro mille venti avversi e vedrete che alla fine ne sarà valsa la pena, ma soprattutto la gioia.