La competizione politica si è ridotta a una corsa al peggio: vince chi riesce a falsare di più la realtà

Si è tenuta dal 18 al 20 settembre a Roma la Conferenza mondiale su “xenofobia, razzismo e nazionalismi populisti nel contesto delle migrazioni globali”, che ha riunito circa 200 rappresentanti tra leader, esponenti ed esperti di diverse Chiese cristiane, della società civile e del mondo accademico, provenienti da tutto il mondo. A promuovere l’incontro, per la prima volta insieme, sono stati il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e il World Council of Churches (WCC), in collaborazione con il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani.

Un dato è emerso evidente: nonostante le tragiche storie del passato, anche recente, xenofobia e razzismo stanno riemergendo in molti Paesi, influendo come un’onda di disprezzo e odio sulla cultura, i media e la politica. Purtroppo non si può rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta consumando sotto i nostri occhi, soprattutto quando ci si trova di fronte a un razzismo di Stato. Il razzismo è una deficienza nella relazione con gli altri che può provocare sentimenti e pratiche di paura, ostilità e aggressione. Tutto questo genera il populismo quale sfruttamento politico delle paure collettive, annunciando un futuro per alcuni e un’esclusione per gli altri.

Il colpevole delle nostre paure e delle nostre incertezze ha un nome: lo straniero. In realtà, afferma Sir Olav Fykse Tveit, segretario generale del Wcc: “Dovremmo porci una domanda: chi ha realmente paura? Noi dei migranti o i migranti per quello che hanno lasciato alle loro spalle?”

Nell’incontrare i convegnisti, Papa Francesco ha usato parole durissime per denunciare ogni forma di xenofobia e populismo che si sta diffondendo ovunque nel mondo, in stretta correlazione con il fenomeno migratorio: “Viviamo tempi in cui sembrano riprendere vita e diffondersi sentimenti che a molti parevano superati. Sentimenti di sospetto, di timore, di disprezzo e perfino di odio nei confronti di individui o gruppi giudicati diversi in ragione della loro appartenenza etnica, nazionale o religiosa e, in quanto tali, ritenuti non abbastanza degni di partecipare pienamente alla vita della società”.

Viviamo tutti tempi difficili e precari. Nella stessa Chiesa, dove si professa la stessa fede in Gesù Cristo, accanto ai movimenti per i diritti umani e per l’accoglienza, emergono spesso con forza visioni di una fede più tradizionalista, moralista e conservatrice (si pensi a certi movimenti cattolici, al popolo del Family Day o addirittura ai gruppi lefebvriani e preconciliari o dell’estrema destra cattolica in generale). Per molti, sostiene Nigrizia, la fede non è il luogo della fratellanza e dell’apertura, ma piuttosto un fortino da difendere contro l’“invasione” delle diversità (di orientamento sessuale, di stili di vita, di fede, ecc.), che per loro arriva anche dal mare. Sono per lo più queste le realtà del “cattolicesimo” italiano che trovano nella Lega – e anche in movimenti come Forza Nuova – una sponda politica per le loro battaglie a livello nazionale e locale.

Ma perché nel paese che ha avuto il più grande partito comunista e il più forte movimento operaio dell’Occidente, una cultura di sinistra egemone per vari decenni, una delle manifestazioni più prolungate del ’68 e la maggiore proliferazione dei gruppi della sinistra radicale, siamo poi caduti tanto in basso da diventare lo zimbello dell’Europa, sia di destra che di sinistra?

Anche se i suoi tratti sono complessi, questa mutazione è riconducibile a quella “dittatura dell’ignoranza” che ha dato il titolo a un volume di Giancarlo Majorino.

All’interno di questo meccanismo infernale la competizione politica si è ridotta a una corsa al peggio: vince chi riesce a falsare di più la realtà, a degradare di più contenuti e forme di comunicazione, a solleticare maggiormente gli istinti più bassi dell’umanità, a promuovere di più il servilismo. Qui si avverte l’amara sensazione che il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, non sia molto più che un maestro di cerimonia, la cui politica migratoria gli viene dettata dal ministro degli interni.

Salvini oggi è uno dei maggiori esempi mondiali di populismo e demagogia al potere. È l’autoproclamato tribuno di un popolo di minoranza (in Italia i leghisti non sono la maggioranza), che si atteggia a maggioritario e con il quale lui pensa di interagire direttamente. Questo pregiudizio si è rinvigorito grazie a media disattenti e quasi privi di conoscenze storiche che legittimano i comizi senza contraddittorio di soggetti diventati magicamente democratici perché “partecipano alle elezioni”.

Salvini e simili diventano così il megafono di un’entità nazionale e nazionalista nebulosa e disomogenea che è muta con i furbi (mafia, evasori), ma mostra muscoli dopati dai gigabyte di internet con i più deboli e i poveri cristi, visti però solo dallo schermo del telefonino e senza mai incrociare lo sguardo di un bambino africano.

A questi politici, che si presentano con la bava sulla bocca e agitando i pugni, bisogna dire di stare lontano: la bava insozza.  Alla cattiveria si opponga lo schifo. Da questa nausea si spera che possa ripartire l’odore della buona politica.