Angeli

Dal Convegno ecclesiale di Firenze alla porta aperta del Giubileo della misericordia.

Firenze-mondo, novembre 2015. Perché mai gli organizzatori abbiano deciso di svolgere nella Fortezza da Basso, tetragono maniero mediceo a ridosso delle mura trecentesche, l’umanissimo convegno della Chiesa italiana contemporanea, stento a capirlo. Più opportuna l’ubicazione della cappella a uso dei delegati diocesani: nella polveriera della fortezza. Ripristinata come luogo d’invocazione e di lode, di riflessione e di propositi rigeneranti. La preghiera, si sa, è esplosiva. Una detonazione ed è già incendio…

Così, dopo un segno di croce, l’ascolto della Parola e un Gloria nella cappella-polveriera, mi è sembrato urgente uscire dal bastione: per andare al cuore del Convegno, vagare nella periferia liquida della città ospitante. È lì che ho incontrato gli angeli.

Un capannello di straccioni, di scarti umani, accalcati intorno a qualcosa, come quando un insieme di colombi si contendono un pezzo di pane duro adagiato in pasto sul marciapiede. Barboni. Volti d’ebano. Senzatetto e senza portafogli. Senza obesità, a rischio di anoressia. Miseri di mezzi economici. Poveri davvero poveri. E in mezzo a loro, Domenico Zecchino, di anni ottantatré, animatore di “Angeli della Città”, onlus con sede estroversa al numero 19 di via Sant’Agostino. Da oltre vent’anni contribuisce periodicamente a dar da mangiare agli affamati della città gigliata: non proprio a tutti, ma a circa trecento tra loro, e a quanti ruotano in stato di bisogno intorno alla stazione ferroviaria intitolata a Santa Maria Novella. Un’opera di misericordia esercitata con mezzi esigui, frutto della dedizione di volontari dal cuore grande, tutt’altro che sgomenti nel gestire piccole oblazioni, proventi occasionali, briciole provenienti da una cassa di risparmio, qualche sostegno istituzionale.

Fabiola e Maria si svegliano alle quattro del mattino. Con la moka familiare preparano sei litri di caffè da trasportare caldo, nei thermos, alla stazione. Dicono che è più buono di quello del bar, perché sa di famiglia. Anna e Giovanna fanno altrettanto con il latte in misura più abbondante. Alle prime luci del giorno, Caterina e Francesca offrono la colazione agli homeless all’addiaccio, infreddoliti e a corto di zuccheri; a mezzogiorno un pasto frugale: pane croccante con una fettina di prosciutto cotto e formaggio. Talvolta una minestra fumante. Magari un frutto di stagione, colto a sorpresa dall’albero variegato della solidarietà diffusa.

Chiedo a Domenico come mai l’onlus si dichiari “apartitica e aconfessionale”. Qual è, dunque, la “fede” che muove i componenti?

“Dico per me. Perché lo faccio? Perché so cos’è la fame, avendola provata e sofferta da giovane. Ho mangiato cani e gatti per sedarla. Ora che posso rendermi utile, memore del morso di allora, rispondo con spirito di umanità. Condividere è un modo per includere, per rendere più coeso e umano questo mondo sfilacciato. Con gesti semplici: un lembo di vita e qualcosa in dono. Come il papa alla mensa dei poverelli”.

Non è credente, Domenico, ma parla chiaro e tondo come il vescovo di Roma. Come lui possiede il lievito madre della relazione umana. Intorno a un tavolo pieghevole, posticcio e traballante, tirato fuori da un camioncino d’occasione e montato a due passi dai binari, allestisce una mensa eucaristica saldamente fondata sul dono, sulla gratuità. Qui il Giubileo della misericordia è cominciato vent’anni fa. “A opera di Paolo Coccheri”, aggiunge puntuale. Oggi altri “angeli” popolano quest’isola pedonale che introduce a una sorta di “scala di Giacobbe” fatta di traversine ferroviarie leggerissime e per questo capaci di collegare cielo e terra alla maniera di Chagall, e portare un po’ di sollievo in esistenze provate se non devastate dalla violenza e dall’indifferenza.

Ritorno confuso alla sede del Convegno, dove la riflessione si orienta, secondo il metodo sinodale, su cinque parole chiave, quasi fossero altrettante direttrici da seguire per passare dalla Chiesa sedentaria a un’altra finalmente missionaria e al passo con i tempi: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare.

Eppure c’è una sesta via che chiede di essere praticata: la concretezza della fede, spesso richiamata da papa Francesco. È una via difficile e in salita. A senso unico. Nel senso, cioè, che richiede opere, prassi, più che parole. Altrimenti la fede muore, s’incenerisce e si dissolve, come direbbe Giacomo (Gc 2,26).

Così, quando mi chiedono come sia andato il Convegno ecclesiale di Firenze, io dico «bene». E cosa attendo dal Giubileo, io dico «misericordia». In entrambi i casi mi viene in soccorso la concretezza di quel volo d’angeli “aconfessionali” e di buona volontà in cui mi sono imbattuto a cielo aperto presso la stazione ferroviaria di Firenze, vicino la fortezza solida e conclusa dei propositi, sotto lo sguardo materno di Santa Maria Novella, madre dei viandanti di ieri e di oggi. Che cercano, e talvolta ospitano, e come lei accarezzano la bellezza nel feriale. Tra le rughe della Chiesa e le contraddizioni del mondo.


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Renato Brucoli (Terlizzi, 1954) è editore e giornalista pubblicista. Attivo in ambito ecclesiale, ha collaborato con don Tonino Bello dirigendo il settimanale d’informazione religiosa della diocesi di Molfetta e il Settore emerge della Caritas, in coincidenza con il primo e secondo esodo dall’Albania in Italia (marzo-agosto 1991) e per alcune microrealizzazioni di ambito sanitario nel “Paese delle Aquile”. Nella sfera civile ha espresso particolare attenzione al mancato sviluppo delle periferie urbane e fondato un’associazione politica di cittadinanza attiva. Ha anche operato nella Murgia barese per la demilitarizzazione del territorio. Autore e curatore di saggi biografici su don Tonino Bello e altre personalità del Novecento pugliese, dirige la collana Alfabeti per le Edizioni Messaggero Padova. Direttore responsabile della rivista Tracce, collabora mensilmente con il periodico La Nuova Città. È addetto stampa per l’associazione Accoglienza Senza Confini Terlizzi che favorisce l’ospitalità di minori bielorussi in Italia nel dopo Chernobyl. L’Università Cattolica del Sacro Cuore, per la quale ha pubblicato una collana di Quaderni a carattere pedagogico sul rapporto adulto-adolescente, gli ha conferito la Medaglia d’oro al merito culturale. L’Ordine dei Giornalisti di Puglia gli ha attribuito il Premio “Michele Campione”: nel 2013 per l’inchiesta sul danno ambientale procurato da un’industria di laterizi; nel 2015 per la narrazione della vicenda umana e sportiva di Luca Mazzone, campione del mondo di paraciclismo.