Quarto ed ultimo appuntamento della IX settimana biblica della diocesi di Andria e ultima intervista, questa volta a don Carlo Broccardo, docente di esegesi presso la Facoltà Teologica del Triveneto

 

Don Carlo, partiamo dal tema del suo intervento: “Una Chiesa dalle porte aperte negli Atti degli apostoli”. Quel “dalle porte aperte” fa pensare: vengono in mente certi stereotipi che vorrebbero i cristiani chiusi in sagrestia e dediti solo a riti e liturgie più che a “sporcarsi le mani” nella storia…

Il bello è che “le porte aperte” degli Atti degli Apostoli sono da intendersi in senso contrario a quello, per esempio, dei supermercati: si tratta di porte aperte non perché tutti possano entrare, ma perché tutti quelli che sono dentro possano uscire. Il libro degli Atti è proprio centrifugo. Basta solo leggerlo di seguito come un racconto, perché è un racconto, per vedere che ci si sposta continuamente. Non senza fatica, perché non è stato semplice per i primi cristiani, però è chiaro fin dall’inizio, da quando Gesù risorto, prima di salire al Cielo, da il programma e dice: di me sarete testimoni in Gerusalemme, in Giudea, in Samaria, … fino ai confini della terra.

Proprio perché i cristiani sono chiamati a uscire e questo non è semplice, diventa ancor più urgente essere respons-abili (abili a rispondere) e capaci di discernimento: compito arduo in un tempo che, più che in una “società liquida”, come voleva Bauman, sembriamo vivere in una “società evaporata”: quanto è importante che i cristiani re-imparino a fare discernimento e formazione delle coscienze, e che studino, si formino, si preparino prima di accogliere l’invito a uscire?

È la cosa più importante. Infatti, mi piace molto una frase che Martini scriveva qualche anno fa, a proposito della preghiera, quando dice: noi oggi non abbiamo bisogno di profeti – è chiaro che lo dice paradossalmente e provocatoriamente, intendendo quello “spirito profetico” che sa già tutte le risposte giuste per ogni problema nuovo che sorge; e continua: abbiamo bisogno di comunità capaci di uno spirito di discernimento, di comunità che umilmente cerchino di capire qual è la cosa giusta.

Dunque, “Chiesa in uscita” non è solo uno slogan: c’è da lavorare, ma a partire da dove?

A partire da tutti. C’è un capitolo bello nella Evangelii Gaudium in cui papa Francesco dice che tutta la Chiesa è soggetto di evangelizzazione. Forse è semplice, ma può essere pericoloso pensare la Chiesa solo come gerarchia. Certo, un cambiamento a livello di vertice opera più velocemente, ma i cambiamenti veloci sono anche i più veloci a rientrare, se poi non sono assimilati da tutta la base.

Mi permetta, a questo proposito, un’ultima provocazione: davvero la Chiesa crede nel ruolo di laici adulti, consapevoli, formati, protagonisti della vita ecclesiale o non si rischia, anche spesso, di utilizzarli a mo’ di mostrine da esibire nelle grandi occasioni e da rimettere nel cassetto, una volta che i riflettori si spengono? In altri termini: davvero, a più di 50 anni dalla chiusura del Vaticano II, possiamo dire che la visione clerico-centrica della Chiesa è alle spalle?

A me piace un passaggio di un’udienza di Benedetto XVI, che taluni considerano un papa legato a schemi clericali, io credo ingiustamente. Infatti, egli, parlando di Aquila e Priscilla, dice che la fede poteva crescere non solo grazie agli Apostoli che l’annunciavano: per radicarsi nella terra del popolo, per svilupparsi vivamente, era necessario l’impegno delle famiglie, degli sposi, delle comunità cristiane, dei fedeli laici. E Benedetto XVI conclude con una frase fortissima: sempre e solo così cresce la Chiesa, … Sempre e solo così cresce la Chiesa.