Quando l’abito non fa il monaco…

Quando si parla di Seconda Guerra Mondiale, gli orrori del passato tornano prepotentemente di moda e chiedersi come abbia fatto l’umanità a permettere un simile genocidio è piuttosto facile. Il difficile è credere che, nel primissimo dopoguerra, padre Alberto Parini, francescano dell’Ordine dei frati minori, abbia organizzato la fuga di Eugene Dollmann, ex colonnello delle SS, vicino ad Hitler, suo interprete, ed amico del nazista Heinrich Himmler.

Un documento del Ministero della Guerra statunitense, redatto l’8 settembre 1952, rivela il “diario di viaggio” di Dollmann che, pochi anni prima, si era nascosto a Lugano. Munito di passaporto italiano, l’esponente del Terzo Reich, venne scoperto, espulso e consegnato, vicino al confine, nei pressi di Chiasso, al controspionaggio. Siamo agli albori della Guerra Fredda e gli Stati Uniti arruolavano ex ufficiali nazisti ritenuti essenziali nella lotta anticomunista.

Il referente di Eugene Dollmann a Milano era Carlo Rocchi, capo della CIA, una sorta di 007 italiano che, a metà Anni Novanta, sarebbe stato interrogato dal pm Guido Salvini nell’ambito del processo per la strage di Piazza Fontana. Rocchi e fra’ Parini architettarono un piano machiavellico e ingegnoso.

Siamo nel febbraio sempre del 1952, intabarrato in un saio di lana, Dollmann esce dalle retrovie del convento di Piazza Sant’Angelo. Intirizzito e gelido tiene il passo di padre Alberto. I due raggiungeranno, a piedi, Genova da dove, all’addiaccio, nella stiva di una nave, salpano alla volta di Barcellona. Più tardi Dollmann si trasferirà a Madrid dove incontrerà Otto Skorzeny, ideatore della fuga di Mussolini sul Gran Sasso.

Deus ex machina dell’ingarbugliata matassa internazionale è, però, Enrico Zucca, religioso sui generis, figura controversa, frate ambiguo che, nel 1978, si sarebbe attivato per racimolare una sostanziosa somma di denaro da consegnare, come riscatto, alle Brigate Rosse, responsabili del rapimento di Aldo Moro.

Soprannominato “il cappellano dell’Anello”, Zucca intrecciò, fra il ’20 ed il ’30, numerosi rapporti con l’aristocrazia milanese, risultando, successivamente, decisivo non solo nell’occultamento del cadavere del Duce, ma anche per lo strenuo supporto offerto ad Herbert Kappler, condannato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine e fuggito, nel 1977, dall’ospedale militare “Celio” di Roma.

Tornando a Dollmann, quest’ultimo, stabilitosi a Madrid, si sentì, ad un certo punto, braccato e, grazie a Rocchi, prese un aereo per Francoforte. Venne però identificato alla dogana e arrestato per falsificazione di identità. Morirà in Germania nel 1985, a sei anni di distanza da Enrico Zucca.

Di seguito riportiamo uno stralcio dell’interrogatorio di Carlo Rocchi di fronte al giudice Salvini: “Con un nostro stratagemma il colonnello Dollmann fu arrestato in Germania perché non si allontanasse dal Paese. La sua presenza ci serviva per stabilire dei contatti con ex ufficiali dell’Armata di Von Paulus e avvicinarli quindi alla causa anticomunista, allontanandoli invece dalla tentazione di passare al blocco comunista“.