Di Odyesso e della sua sete di conoscenza abbiamo già parlato.

Questa volta desideriamo soffermarci su un mito che tanti citano, ma non a tutti suona familiare, le Colonne d’Ercole: cosa sono e cosa indicano, in realtà?

Nell’antichità, esse rappresentavano il limite da non superare. La loro collocazione geografica non è, tuttavia, un rebus facile da sciogliere. Comunemente, si pensa indicassero le due sponde opposte di Gibilterra e del Jebel Musa (detto anche Monte Hacho), rispettivamente sulla costa europea (a proposito: lo sapevate che, pur parte della penisola iberica, la Rocca di Gibilterra rientra nei Territori Britannici di Oltremare?) e su quella africana. Anticamente erano conosciute anche coi nomi di Calpe e Abila. A detta di altri, tuttavia, Ercole, sia pure nel mito, non poteva essersi spinto fin lì e perciò concludono che lo stretto in questione non può essere altro che quello di Messina, già cantato da Omero (Odissea, XII, 112 e segg.) coi nomi dei terribili mostri marini di Scilla (sul versante calabrese) e Cariddi (in Sicilia), temutissimi dai marinai che osavano avvicinarsi allo Stretto. Di ipotesi ce ne sono, però, molte altre e, almeno per ora, ve le risparmiamo.

In realtà, in questo caso, l’interesse geografico è davvero relativo. Ercole, per i Romani, o Eracle, come lo chiamavano i Greci, con le sue Colonne eponime ha chiaramente segnato il confine del mondo conosciuto e, s’intende, di conseguenza civilizzato. Oltre le Colonne si stende l’ignoto, la sfida dell’umano al numinoso, il “folle volo” dell’Ulisse dantesco (si veda il celebre canto XXVI dell’Inferno), il fascino che lega chi non s’accontenta di ciò che è e ciò che ha e desidera “essere come Dio” (Gen 3,5) e cioè non avere limiti. Qui sono le Colonne d’Ercole e da nessun’altra parte…

Tornando al mito, Ercole/Eracle, in una delle celeberrime sue dodici fatiche, dovette spingersi fin sui monti Calpe e Abila, spaccare il monte originario in due parti (le due colonne d’Ercole) e incidere la scritta non plus ultra (letteralmente: non più oltre). A lui toccò andare così lontano perché aveva il compito di rubare il bestiame di Gerione, figlio di Crisaore e di Calliroe, e fratello di Echidna. Gerione era un terribile gigante con tre teste, tre busti e due sole gambe. Regnava sul territorio sconfinato che raggiungeva la mitica Tartesso e, in particolare, era padrone dei buoi più belli che si fossero mai visti: proprio quelli che a Ercole toccava rapire. Per un compito così arduo, un aiutino divino non poteva mancare e così Ercole si fece prestare la barca d’oro del dio Helios, raggiunse Gerione a casa sua, dove poté sfidarlo e ucciderlo per portar via i buoi. Naturalmente, la solita capricciosa e irascibile Era se la prese a male e scagliò contro Ercole uno sciame di mosche per ucciderne i buoi. Al nostro eroe toccò così di schiacciare anche le mosche e di fare, finalmente, ritorno a casa, al di qua delle Colonne, in un porto magari molto meno avventuroso, ma certamente più tranquillo e sicuro.

Davide Farina


[ Foto: Davide Farina ]