Da “Storia di un impiegato” a una ipotetica “Storia di uno Jihadista”: De André e dintorni…

Pensavo a De André… Non sempre ci rendiamo conto del nesso logico che potrebbe esservi tra il nostro subconscio e la musica. Beninteso, mentre scrivo sono memore de “le parole sono importanti” lanciato in faccia ad una giornalista dal simpaticissimo Nanni Moretti in “Palombella Rossa”.

Ed infatti il subconscio, in questi termini, non ha alcuna accezione freudiana, o meglio si potrebbe sorvolare su quest’ultima con l’immagine forse più hollywoodiana degli ultimi quarant’anni: una persona, una lovestory, uno sguardo all’orizzonte – con le sue nuvole ed effetti mirabilianti, magari anche il mare – e la colonna sonora perfetta; è in quell’istante che tutti i crucci vengono meno ed i nodi giungono al pettine. Penso che renda bene l’idea sia del collegamento che ci possa essere tra subconscio e musica (quella sensazione panica che nello spettatore si crea nel momento cruciale del film, la reazione del protagonista, sembrano quasi legate all’utilizzo di una particolare canzone) che della nozione di subconscio (il senso di emozione nel guardare l’orizzonte, e cose così, creano pensieri; e questo tipo di pensieri sono il subconscio da me inteso).

Giunti al punto, mi fa specie ascoltare, in questi giorni, alcuni dei brani musicali che nelle lunghe pause estive ho cercato per innovare un certo tipo di cultura personale di cui intuivo una certa staticità. Punk rock, Pop, Rap, Reggae, S.K.A., senza dimenticare il tanto amato cantautorato italiano, dal quale qualche lezione ancora si apprende, oltre a sorridere con le baruffe di Giorgio Gaber e le traduzioni di Brassens curate da Fabrizio De André.

Sarà stato il suo carattere burbero sotto certi aspetti, sarà stata la sua paura per la perdita delle proprie “poche ma in compenso fisse” idee o il suo voler “strappare un applauso per l’Islam, ma evidentemente non è possibile”, oppure il fatto che questo è tutto quello che di veramente suo mi rimane, a farmi specie. Ovviamente parlo di Fabrizio De André.

Che Faber sia un pilastro della formazione mia personale non lo nascondo; così come non celo la simpatia per i suoi ideali politici e di vita. Insomma un modello. Per me come per molti altri prima e dopo di me, spero più preparati ed influenti. Egli ha reso instabili tutte le certezze di una società che continua a vivere sugli allori di una ideologia che usa pietismi o discriminazione con gli ultimi, reverenza o invidia con i primi.

E di questa destabilizzazione si è reso profondamente partecipe.

Molti ricorderanno l’epilogo del rapimento del cantautore e della sua compagna da parte della Anonima Sequestri Sarda, così come pochi sapranno che le intenzioni reali della parte lesa, durante il processo, furono completamente disattese: De André ed il padre posero l’accento sulla presenza di mandanti altamente “borghesi”, piuttosto che ritorcersi contro i sequestratori veri e propri. Nei confronti dei primi vi fu una costituzione come parte civile; per i secondi sono nati brani autentici come Franziska, in cui si respira aria di autenticità e di comprensione per i ruoli di manovalanza sottopagata degli esecutori materiali di un crimine non ancora così grave, quindi per il quale gioco la candela (ovvero degli spiccioli alle famiglie e alle fidanzate o mogli) aveva un ottimo valore.

Per chi non conoscesse la storia di “Franziska”, non voglio rovinare la sorpresa ed il gusto di leggersela ed emozionarsi a riascoltarla comprendendo.

Ma l’analisi è lucida ed impressionante.

C’è un mondo dietro un uomo che dorme con un rosario stretto attorno ad un fucile. E questo è il mondo del crimine per povertà, per mantenere la propria famiglia, con vergogna, perché si mente, si diventa “marinai di foreste senza conchiglie da portare”, per amore e protezione di una donna e per la disperazione dello strazio della povertà, quella più nera, che toglie il sorriso. Quegli ultimi vittima di pietismo e discriminazione che egli aveva sempre cantato in modo diverso e che anche in quel contesto continuava a difendere a proprio modo, cercando di comprenderne la quotidianità spezzata e la normalità interrotta, oltre che l’inesistenza perentoria degli apparati politici. Basti pensare al bombarolo di “Storia di un impiegato” per comprenderne meglio il nesso.

Non vi sarà bisogno di un nuovo De André, a questo punto, né una nuova “Franziska”, per immedesimarsi nelle storie dei ‘nuovi banditi’, quelli cioè che vanno in giro per il mondo al grido di un “Allah è grande” blandendo un coltello in cui è intriso il proprio sangue ancor prima di quello di persone innocenti. E la politica ne fa carne da macello, così come per quei sequestratori. Basterà pensare a cosa avrebbe combinato Faber: magari una “Storia di un jihadista”, magari un’altro “Franziska”.

Quanto mi manca Faber.


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Andriese di nascita, salentino di adozione, ho frequentato la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università del Salento e ho recentemente iniziato la pratica per professioni forensi. Osservo con interesse le questioni di politica nazionale ed internazionale, sempre attento a profili giuridici filosofici e costituzionali. Nel 2020 ho pubblicato con Albatros-Il Filo la raccolta “Opera Senza Autore”, dove si ripercorre una personale vocazione libertaria, mentre i personaggi nella propria solitudine cercano costantemente di svincolarsi dalle dinamiche di potere.

1 COMMENTO

  1. Intanto complimenti per l’articolo, finale sorprendente e condivisibile. Leggendo il titolo si era attivato il mio preconcetto ed avevo pensato “ecco! Un’altro articolo nostalgico che dirà che gli anni ’60-’70 erano i migliori ecc. ecc.”
    Comunque per rispondere sinteticamente alla domanda del titolo “Quanto manca De Andrè a questa società?” posso solo scrivere che oggi è cambiato (in bene e in male) il linguaggio mediatico. Gli anni ’50 portarono il “divismo” attraverso i media di allora (TV e Radio) e, attraverso determinate dinamiche massmediali, la TV e la radio (e chi le dirigeva) conducevano alla ribalta artisti emergenti trasformandoli in divi per il “popolo pensante” (De Andrè et simili) e per il mainstream (Marilyn Monroe et simili).
    In conclusione, oggi De Andrè non può mancare alla società attuale. La Franziska di De Andrè per fare un esempio, viene sintetizzata oggi attraverso l’urlo del cantante punk durante il suo flettersi sugli addominali, mentre il suo capo è chino verso il basso, oppure in determinati testi e suoni rap dei ghetti di mezzo mondo.
    Oggi è cambiato il linguaggio e, non me ne vogliano i cultori degli anni ’60 e ’70, ci sono tanti De Andrè, è solo questione di saperli leggere e saperli trovare fuori da blande forme di arte votata al denaro, ma soprattutto fuori dal contesto mediatico che fece conoscere i De Andrè e compagnia.

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