“Perché io e la bicicletta siamo una cosa sola” cantano gli “Stadio” nel loro brano intitolato “E mi alzo sui pedali”, dedicato al “Pirata” del ciclismo italiano, Marco Pantani, deceduto in una stanza di un hotel di Rimini, in circostanze tutt’oggi misteriose, il 14 febbraio 2004.
Un mistero avvolto dal silenzio, un giallo semplice e allo stesso tempo ingarbugliato, al quale ha cercato di trovare il cosiddetto “bandolo della matassa” il telecronista sportivo e conduttore di “Sport Mediaset” Davide De Zan (figlio del compianto Adriano) presentando, il 26 agosto scorso presso il Circolo Tennis di Andria, il suo ultimo libro Pantani è tornato, Il complotto, il delitto, l’onore (edito Piemme). Un’indagine sconvolgente su un campione ucciso due volte, un’incalzante ricerca della verità si mescola alla forza dell’amicizia, per rendere finalmente giustizia a un campione e a un uomo.
L’evento, moderato dal giornalista Vittorio Massaro e organizzato dall’Associazione Culturale “Cortesveva” insieme alla “Libreria 2000 – Centro Didattico” è stato un’occasione per lanciare uno spunto di riflessione sui complotti e sulle ingiustizie che da quel “famigerato” Giro d’Italia targato giugno 1999 a Madonna Di Campiglio hanno tormentato il campione romagnolo (rendendolo anche tossicodipendente) segnando l’inizio della fine, prima dell’anima e poi del suo corpo ritrovato cadavere cinque anni dopo, la sera di quel “maledetto” San Valentino 2004.
“Pantani è morto due volte, prima a Madonna di Campiglio e poi a Rimini, il 14 febbraio” – ha evidenziato De Zan durante l’incontro – “nel mio libro appare evidente come in quella stanza d’albergo laddove fu ritrovato il corpo di Marco, ci fosse un disordine troppo ‘ordinato’, avvolto dal mistero e da tante verità sospese: la cocaina non si può mangiare e non è possibile che sulla scena del crimine una pallina di pane e coca sia rimasta completamente candida in una pozza di sangue. Oggi, a distanza di più di 10 anni dalla sua morte e con il coraggio di mamma Tonina, abbiamo avuto la forza di far riaprire il caso e quindi le indagini: una legata a Campiglio e l’altra a quanto accaduto a Rimini. Con questo libro voglio ridare dignità ad un ragazzo, ad un campione, ma soprattutto ad un uomo affatto fragile, che sapeva scindere Davide come amico e De Zan come giornalista” – ha precisato ancora l’autore.
“Il Giro D’Italia del 1994 lanciò Pantani ma fu vinto dal russo Berzin, e in quell’occasione ricordo bene quando il campione spagnolo Miguel Indurain affermò con fermezza che ‘mai più cercherò di seguire Pantani’, volendone sottolineare il talento e la forza della natura che Marco rappresentava; un fuoriclasse venerato dai tifosi e rispettato dagli avversari. Ma a Madonna di Campiglio si consumò una vera e grande ingiustizia ai danni di Marco, mi chiedo e ci chiediamo ancora, come mai la sera prima l’ematocrito del Pirata risultasse intorno ai 47/48 e poche ore dopo, all’alba di quel 5 giugno 1999, schizzò a 53! Era evidente che all’indomani della sua ultima vittoria (il 4 giugno) qualcuno aveva manipolato la sua provetta di sangue, ‘sfigurando’ con un finto e presunto uso di sostanze dopanti, l’immagine del nostro Pirata Romagnolo” – ha incalzato De Zan.
A Pantani non è stato nemmeno dato il beneficio del dubbio, chi il giorno prima consumava fiumi di inchiostro esaltando le sue gesta da campione, il giorno dopo era li già pronto a sputare sentenze, senza nemmeno pensare per un attimo, che quel ragazzo fosse stato vittima “quasi inconsapevolmente” di scommesse clandestine di matrice mafiosa compiute ai danni della veridicità del Giro D’Italia, in un ciclismo non affatto tutelato da simili imbrogli.
Pantani ha riportato nel cuore di tutti le “suggestioni” – così come le ha definite lo stesso De Zan – dell’indimenticabile Fausto Coppi ed è anche per questo che sarà un campione senza tempo oltre che unico.
“Io non sono un falso!” e “I ragazzi devono parlare!” – esclamava Pantani e, anche se non ha più voce, cerchiamo di ascoltarlo ancora nelle nostre coscienze.