Fu tra i fondatori di “Shalom Achshav”, Pace Adesso. Ripropose con fermezza la possibilità dell’applicazione del principio della “pace in cambio della terra”

Amos Oz, Gerusalemme 4 maggio 1939 –  Tel Aviv 28 dicembre 2018.
Le parole composte, educate ed educanti hanno perduto una bocca ed una penna. La morte ha abbattuto la porta della vita per esigere il prezzo dell’arte, è purtroppo legge che si nasca e muoia. I mediocri, gli insensati continueranno a stuprare, come se nulla fosse, con la violenza di una grammatica improvvisata, ciò che resta del mondo, da raccontare.
Aveva 79 anni ed era malato da tempo. Il suo vero nome era Amos Klausner. Era uno scrittore, un  giornalista e docente di letteratura alla Università Ben Gurion del Negev, a Be’er Sheva.

Lo conoscevamo tutti con il cognome “Oz”, in ebraico “forza”, che assunse verso i quindici anni quando decise di andare da solo a vivere in un kibbutz.
Amava la sua terra, Israele, combatté due guerre per amore, una nel 1967 (la guerra dei Sei Giorni) e l’altra nel 1973 (la guerra di Kippur che coinvolse Siria, Egitto ed Israele).
Shimon Peres gli offrì negli anni Novanta, nel pieno del difficile Piano di pace con i palestinesi, di entrare in politica, ma lui rifiutò dicendogli: “Ho un handicap, non posso pronunciare le parole No comment”.

Studiò filosofia all’università di Gerusalemme, si sposò ed ebbe due figli. Il suo primo libro fu “Terra dello sciacallo”, del 1965.
Non smise più di scrivere da allora, sino a quel libro che mi ha fatto commuovere e mi ha insegnato la discrezione e l’eleganza poetica del dolore: “Una storia di amore e di tenebra”, del 2002. La storia della sua famiglia attraverso tutto il XX secolo, dagli anni della Shoah, dall’esilio eterno ebraico, alla nascita di Israele, alla Guerra dei sei giorni; la storia della sua infanzia e giovinezza a Gerusalemme e nel kibbutz (forma associativa volontaria di lavoratori) di Hulda. Un miscuglio di sogni e paure, tra cui quella ancestrale e atavica che in Israele vi potesse avvenire un altro genocidio di ebrei, a cui lui non avrebbe potuto far altro che assistere.

L’ essenza stessa del libro è però il dolore mai elaborato per il suicidio di sua madre Fania, colta e poliglotta quanto il marito, ma malata di depressione, nel 1952, per cui nutriva un amore incondizionato. I rapporti con il padre non erano buoni, lui era politicamente a destra e contrario alle simpatie laburiste del figlio.
I Klausner erano sempre stati una famiglia colta e di intellettuali.

In una intervista disse: “I miei genitori e i miei nonni erano rifugiati. Loro però, al contrario, paradossalmente non cercavano di entrare in Europa, ma di scapparne. E non sono andati in Israele per migliorare la loro vita, ma per sopravvivere. Ecco, per i rifugiati che oggi arrivano in Europa io provo molta empatia. E credo che il problema del Terzo mondo debba essere risolto lì, nei Paesi più poveri, per dare loro uno stile di vita dignitoso. Bisogna lavorare sul Terzo mondo. Lavori che già dovrebbero essere cominciati da decenni e decenni, non limitandosi alle chiacchiere”.

Amos Oz era tra i fondatori di “Shalom Achshav”, Pace Adesso, il movimento legato alla sinistra israeliana mobilitato contro l’invasione: allo scoppio, diversi anni dopo, dell’intifada palestinese di Cisgiordania e Gaza, ripropose pubblicamente con fermezza la possibilità dell’applicazione del principio della “pace in cambio della terra” ovvero la restituzione dei territori occupati da Israele durante la guerra del 1967 e la successiva nascita di uno Stato palestinese, blindato da un accordo di pace con quello ebraico.
Non voleva più vivere in una Gerusalemme “disperata” e divisa in due parti dal muro voluto da Ariel Sharon.

Oz scrisse: “Chi ha il coraggio di cambiare viene sempre considerato un traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento”.
E ancora: “Anch’io ho una verità assoluta. Sono convinto che sia sempre un male infliggere dolore a qualcuno. Se dovessi sintetizzare tutti e dieci i comandamenti in un unico comandamento, in assoluto direi: non infliggere dolore a nessuno. Questo è il punto fermo della filosofia della mia vita. Il resto è relativo”.

Amava definirsi un esperto di compromessi, poiché sposato da più di 40 anni con la stessa donna.
Consigliava ai giovani di praticare il compromesso, senza cui, ribadiva, non c’è vita: il contrario del compromesso per lui erano il fanatismo e la morte. Suggeriva sempre di andare incontro a chi proveniva dall’altra parte.

Buon riposo, signor Oz.


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