Sono dispiaciuto, non sorpreso, anche dalla risposta del nostro premier

Caro Direttore,

non sono nazionalista-populista-sovranista, no. Ma non mi è piaciuto il linciaggio subito a Bruxelles dal premier italiano Giuseppe Conte, bollato come esecutore degli ordini dei suoi vice Salvini e Di Maio. Non mi è piaciuto, non per la forma che ricalca il salvinismo e grillismo a misura europea, ma perché le parole nascondono la sostanza: siamo isolati in Europa. Questa è la ragione per la quale sono dispiaciuto e preoccupato. Il povero Conte ha pagato il prezzo che toccherebbe pagare a Salvini e Di Maio, a Di Battista e a Borghi. Cioè coloro che da anni attribuiscono tutti i nostri mali all’Europa, per non guardare in faccia la realtà, che è diversa, fermo restando che questa Unione è da riformare, da migliorare, da umanizzare un po’ di più. La realtà è che senza Europa non andiamo da nessuna parte, siamo una pulce nel mondo globale. Mentre con l’Europa possiamo ancora dire la nostra come Paese industriale e moderno.

Ma sono dispiaciuto, non sorpreso, anche dalla risposta del nostro premier. Il quale aveva un modo giusto e uno sbagliato per replicare agli attacchi. Il modo giusto sarebbe stato il più forte e producente, e avrebbe potuto essere detto con parole semplicemente politiche.

Cari signori, non risponderò alle vostre offese, vi ricorderò che sono il premier di un Paese che ha fondato l’Europa insieme a Francia e Germania. Vi ricorderò che a capo del governo di allora c’era Alcide De Gasperi, che certo conoscerete. Vi ricorderò che sono qui a rappresentare sessanta milioni di italiani, oltre che il mio governo. Capisco che le polemiche elettorali possano oltrepassare il segno, che le parole della polemica possano essere sbagliate. Ma io sono qui per cercare una strada di incontro fra gli interessi dei miei concittadini e quelli dei vostri.

Ecco, da un leader di un grande Paese mi sarei aspettato questo. E avremmo finalmente avuto un Conte non portavoce dei Dioscuri, non Fantasma del Gargano.

Poi c’era un modo sbagliato di replicare. Conte lo ha messo in pratica senza dubbi. In puro gergo salvinista-grillista ha rintuzzato gli attacchi con un trito: no sono servo delle lobby. Alludendo apertamente alle teorie dei Dioscuri a proposito di poteri forti, di banche strangolatrici, di Savii di Sion e compagnia bella. Cioè, ha risposto come avrebbero fatto Salvini e Di Maio, quelli della rissa continua, che manderanno a casa le élites europee, che chiuderanno il Parlamento di Bruxelles, che lo apriranno come una scatola di salmone, dopo quella di tonno che hanno aperto a Roma. Conte, l’avvocato degli italiani, purtroppo preferisce essere l’avvocato di Salvini e Di Maio.

Avevo sperato nel contrario, ma sono stato smentito. Un’occasione persa per il premier e per l’Italia.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).