“Quella splendida ribellione mi ha regalato qualcosa che somiglia all’ora più felice”

(Stefano Benni, L’ora più bella)

Senza dubbio quella passata in compagnia di Stefano Benni, accompagnato ed investigato da un discreto ed intimo Paolo Di Paolo, è stata un’ora felice che si è esibita splendida e tenace nell’ultimo incontro della seconda edizione del Festival della Disperazione.

Tutto comincia con l’estratto “Le Lacrime” da “La grammatica di Dio” e con l’analisi di questi uomini che una mattina trovano casualmente gigantesche lacrime nelle quali riflettersi e vedere quasi per la prima volta pezzi di sé. Lacrime di varia origine e natura, perché in fondo gioia e dolore sono figli dello stesso cuore, e allo stesso modo fanno emozionare ogni uomo sulla faccia della terra. Le lacrime ci accomunano come il riso, il dolore, la morte, la disperazione è proprio in loro che troviamo e che risiede l’origine delle più profonde vicissitudini interiori rinnegate e spesso risospinte per la sola paura di conoscerle.

A questo si lega in modo delicato e vivace la figura del comico e il ruolo dell’ironia, tema assai caro e presente nei libri di Stefano Benni. Concetto saldato in modo indissolubile alla tristezza, alla malinconia e alla solitudine. Ed è proprio qui che Benni chiama in causa i nomi di grandi artisti comici: Stanlio e Olio, Chaplin, Robin Williams, tutti affetti da questa sindrome chiamata tristezza che, impreziosita dal loro genio, li ha resi capaci di far ridere e sorridere intere generazioni.

E allora cosa accade?

Benni ci porta a valutare una trascurata ipotesi: succede questo perchè il comico è dotato di una singolare sensibilità, di quella particolare percezione del mondo, a lui è data la possibilità di entrare in empatia allo stesso modo e con la stessa intensità sia con le realtà più terribili che con quelle meravigliose che costellano il tempo dell’umanità. Dunque succede che diventa inutile combattere il dolore, lo si riconosce e si sceglie di andare a braccetto con lui servendosi dell’ironia. Non è una corazza, ma un curioso modo di attraversare la condizione di dolore e desolazione.

Continuando la chiacchierata si passa dolcemente a raccontare l’importanza e il ruolo centrale che, nella vita di Stefano Benni, hanno assunto i libri. Nel suo luogo d’origine sperduto fra i monti e poco accessibile, una biblioteca lontana 2 km da casa diventa per il Benni ragazzino una via di fuga messa in moto dall’immaginazione, un passepartout verso la liberazione, un viaggio continuo verso altri mondi. Sono i libri che colmano la voragine della solitudine che, se perpetrata, sfocia e si trasforma in cupa disperazione. Ogni libro letto è un cerotto, un compagno, una musica nuova, un viaggio verso l’ignoto, un piccolo mattone per costruire i ponti verso la libertà. Solo allora accade che “l’ombra di un patibolo ci appare nel sole”.

Mariana Di Bari