L’emozione è il linguaggio attraverso cui si comunica con sincerità, mettendosi a nudo, senza timore di mostrarsi fragili e indifesi, perché la fragilità è la nostra forza, in un mondo trascinato dalla ragione verso la competizione estrema.
(Giovanni Allevi)

Mio caro lettore, il tema di oggi non ti suonerà nuovo: è un po’ che mi ritorna e, ad esempio, ne ho già scritto nel mio “Sono imperfetto, dunque mi amo”.

Ma, evidentemente, la lingua batte dove il dente duole e, del resto, non c’è mai una riflessione che sia perfettamente identica ad un’altra…

Pensavo: hai fatto caso al tempo in cui ci è toccato vivere il nostro pezzetto di storia? Bada bene: non mi sento uno sterile nostalgico del passato. Amo, questo sì, la nostalgia in quanto tale. La declino come amore per ciò che è stato, amore per ciò che ho amato e non rinnego, per cui ne sento la mancanza. Dopodiché, non sono di quelli che pensano che il passato sia sempre migliore del presente: “laudatores temporis acti” sarebbe la definizione classica, vale a dire “lodatori del tempo vissuto”. No, io non credo all’eterno peggioramento della storia ed anzi sono moderatamente fiducioso nel futuro. Un futuro che vedo ambivalente, con gravi contraddizioni, colmo di rischi, ma anche connotato da altrettante e più grandi opportunità.

Dunque, tornando al mio interrogativo, quando ti chiedo se tu abbia fatto caso al tempo in cui viviamo non è per dirti che stavamo meglio quando stavamo peggio. È piuttosto per suggerirti un ulteriore punto di vista sulle nostre, di contraddizioni. A me pare, infatti, che mai come oggi si viva in tempo di debolezza, eppure mai come oggi ci si faccia vanto di una “muscolarità” che è solo apparenza, della serie “sotto il vestito niente” o, meglio, dietro la maschera solo fragilità.

La cosa mi appare pressoché stupida. In senso letterale. Stupida non solo perché, prima o poi, il gioco è svelato. Stupida perché ti fa perdere il meglio. Sì, magari, per un momento (che siano mesi, anni o decenni: sempre di “un momento” si tratta…), ti fa prendere il potere, ti fa acclamare nelle piazze o sui social, ma poi, alla fine, ti lascia nudo e privo della tua bellezza: che è una fragilità condivisa, non ostentata, confessata, non rimossa, amata in quanto accolta da te stesso e da chi ti ama.

E diciamocelo francamente: in questo mondo, in questo breve arco di luce che ci è toccato di vivere, cosa resta, alla fine, se non l’amore dato e, ancor prima, ricevuto? Siamo fragili, ma in quanto tali amabili: che fortuna accorgersene prima che sia troppo tardi!

Beh, mi raccomando: che non ti si freddi il caffè per tener dietro alle mie digressioni. Il caffè deve essere caldo e forte: in certi casi, la fragilità non è ammessa. Smile.

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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...