Qualche tempo fa apparivano manifesti per le strade di Milano che riportavano una sola scritta “Basta Netflix”, corredata qualche giorno dopo da interviste a personaggi famosi in cui lo staff chiedeva di rispondere a questa domanda: basta Netflix per..? Lo storytelling di Netflix non è solo nei film e serie tv che produce ma anche nel racconto pubblicitario che fa di sé: un colosso economico vincente, irriverente e assolutamente anticonvenzionale.

Netflix ha un merito: staccata da qualsiasi televisione o rete nazionale, libera e indipendente nello streaming legale, forte dei milioni di fatturato che la portano in tutto il mondo, ha ( e conquista) la libertà di produrre storie controverse e di raccontarle nel mondo più politicamente scorretto possibile, senza ammende, censure, falsi buonismi e verità parziali.

Non è un caso che i suoi documentari spesso diventino virali, o che le serie tv che produce, specialmente se trattano di storie vere, facciano emergere la realtà complicata quale spesso  è, offrendo tutte le sfaccettature variopinte che  può avere. Nessun personaggio è mai totalmente buono o cattivo. Era già successo con Narcos, quando il brutale mondo dei narcotrafficanti veniva raccontato in tutta la sua crudeltà, senza escludere la (talvolta) inevitabile spietatezza della Dea americana e della polizia locale messicana.

A settembre in tutta Italia ha risuonato l’eco di un film sussurato, tragico e potente, che è Sulla mia pelle, racconto crudo e sincero degli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi. La storia di Stefano Cucchi non poteva che essere raccontata come fa  Alessio Cremonini  e non poteva che essere prodotto proprio da Netflix. Perchè la storia del trentunenne romano è sporca, ombrata, caricata di menzogne, di coperture, di silenzi, di omertà. Perché la storia di Stefano non è precisamente quella del martire assassinato che fa bene al pubblico italiano, non è l’eroe vittima del sistema, non è il ragazzino ribelle che se l’è cercata né il delinquente che se l’è meritata. Di fronte alla vicende che hanno portato il giovane alla morte c’è solo tanta tristezza, pietà, dignità. C’è la casualità degli avvenimenti, ma anche lo sconcerto delle conseguenze; c’è Roma, la Roma ladrona, la Roma lenta nella burocrazia che vieta di fatto ai genitori di Cucchi di vederlo mentre è ricoverato nell’ospedale carcerario, c’è la Roma dei fascistelli, dei violenti, dei carabinieri in borghese che perdono il controllo della situazione. E poi c’è lo stesso Stefano Cucchi: un ex tossicomane, uno bollato ormai a vita dal pregiudizio, un drogato, forse uno spacciatore.

Tutta la vicenda ruota attorno a questo, dettagli irrilevanti e allo stesso tempo decisivi: le botte non si vedono ma si sentono nei lamenti silenziosi e dignitosi di Cucchi, si sentono nell’indifferenza in ci si svolge la sua sorte, nel passare da un carcere all’altro, e poi da una cella a un letto di ospedale, senza che nessuno, né carabinieri né infermieri né medici, si interessino veramente a capire come un giovane arrestato per spaccio si possa ritrovare pieno di percosse. C’è la violenza e c’è il dolore, c’è il pudore e l’omertà, e la dignitosa odissea che la famiglia di Cucchi ha dovuto affrontare ancor prima della morte del figlio.  C’è il racconto imparziale, secco, oggettivo, in una storia che ancora non riesce a raggiungere totale chiarezza.

E’ questo proprio il merito di Netflix: dare voce, soldi e spazio a storie coraggiose da raccontare. E’ di questi ultimi mesi il documentario  The true cost, in cui attraverso le storie degli operai che muoiono nelle fabbriche del Sud Est asiatico e della terre e dei fiumi del Bangladesh inquinati senza regole per portare nelle catene di abbigliamento internazionali abiti low cost, vengono sfidate i più grandi ( e familiari) marchi del momento, da H&M in poi, dando un nome ad un fenomeno quotidiano e preoccupante quale è la Fast Fashion.

Netflix racconta attraverso i film e i documentari che produce il nostro mondo complicato, il nuovo disagio sociale, l’iniquità, e lo fa senza paura, senza censure, senza porsi limiti dettati dal buon costume. Una spregiudicatezza e una sicurezza che la porta a essere il primo canale al mondo e che cambia le regole della narrazione: è ormai lo streaming a permettere il racconto della verità. A questo si accompagna la piena conoscenza del mondo social e giovanile, la capacità di assecondare le richieste del pubblico ( il download delle puntate arrivato a grandissima richiesta ne è un esempio) e di utilizzare i principali mezzi di comunicazione nel modo più irriverente e incalzante possibile. Qualche tempo fa apparivano manifesti per le strade di Milano che riportavano una sola scritta “Basta Netflix”, corredata qualche giorno dopo da interviste a personaggi famosi in cui lo staff chiedeva di rispondere a questa domanda: basta Netflix per..? Lo storytelling di Netflix non è solo nei film e serie tv che produce ma anche nel racconto pubblicitario che fa di sé: un colosso economico vincente, irriverente e assolutamente anticonvenzionale.


1 COMMENTO

  1. Shhhhh… shhhhh… Net*** non andrebbe nominato, perché non è nulla. Ogni film, docu-film e documentario, contengono sempre la visione, l’interpretazione di una realtà di chi scrive la sceneggiatura o, più semplicemente, del regista o del CdA dell’Impresa che finanzia il prodotto visivo. Ciò significa una deformazione della realtà nel recettore non attento, non formato, che lasciandosi affascinare, emozionare, da tali prodotti, prende tutto ciò che vede per oro colato.
    Non esistono buoni nel campo dell’insustria cinematografica/filmica mainstream.
    Non dobbiamo lasciarci sedurre dall’apparente “indipendenza” di una piattaforma mainstream. I suoi prodotti sono solo di due tipi:
    1. deleteri
    2. insulsi
    Inoltre nella “libertà” di certe piattaforme molti giovani si imbattono in prodotti diseducativi e nessun può dir nulla, perché il servizio è a pagamento, quindi chi sottoscrive l’abbonamento si prende le responsabilità di cosa vede.
    Lo scrivo provocatoriamente: bisognerebbe spegnere le pay TV, per sempre, diffondono solo fesserie, inutilità, e lo fanno purtroppo, in modo massivo.

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