In un mondo sempre più connesso e digitalizzato, banda larga e internet veloce sembrano essere entrati a far parte della famiglia dei diritti inalienabili dell’uomo del XXI secolo. La Commissione Europea punta molto sulla cosiddetta “agenda digitale” e ha fissato una serie di obiettivi,[1] stimando che un aumento del 10% di adozione di banda larga produca un incremento del PIL dell’1/1.5%.  

Come spesso accade negli ultimi anni, l’Italia fatica a tenere fede agli impegni presi a livello europeo. Secondo l’ultimo State of the Internet Report[2] pubblicato da Akamai, la velocità media di connessione in Italia nel secondo trimestre del 2014 è di 5.8 mbps, in aumento dell’11% rispetto al primo trimestre e del 22% su base annua ma ancora molto distante dal primo posto occupato dalla Svizzera con 14.9 mbps. Anche il picco di velocità media (26.4 mbps) è cresciuto del 15% rispetto al primo trimestre del 2014, ma continuiamo ad essere l’unico paese europeo al di sotto del livello di 30 mbps. Infine l’Italia rimane la sola in Europa ad avere tassi di adozione di banda super-veloce (cioè superiore ai 10 mbps) sotto il 10%– seppure in crescita del 52% rispetto al trimestre precedente.

Il Governo punta molto sull’agenda digitale, ma i fondi attivabili – secondo le stime sono circa 2 miliardi di € all’anno da reperire direttamente o attraverso fondi europei – non bastano a raggiungere gli obiettivi stabiliti.

In assenza di sufficienti investimenti dall’alto, una soluzione può essere offerta da sorprendenti iniziative “bottom-up”. È il caso di Verrua Savoia, piccolo Comune piemontese di 1500 abitanti che dopo una sperimentazione durata 4 anni – guidata dal Prof. Daniele Trinchero del Politecnico di Torino – è riuscito a dotarsi di una rete di banda larga in un territorio morfologicamente complesso, in cui i grandi providers avevano poco interesse a investire. I cittadini si sono costituiti nell’associazione no-profit “Senza fili senza confini”[3] e hanno raggiunto un traguardo storico. “Senza fili e senza confini” è la prima associazione di volontariato in Italia che si è trasformata in un operatore di rete e che oggi è regolarmente iscritta al registro degli operatori delle Telecomunicazioni. I cittadini adesso potranno viaggiare ad una velocità media tra i 10 e i 20 mbps – più del doppio della media nazionale – semplicemente pagando la quota associativa di 50 euro – una cifra irrisoria se paragonata ai canoni proposti dai grandi gruppi privati. L’auspicio è che il modello “Verrua Savoia” possa essere esportato in tante altre comunità. In un Paese in cui quasi il 25 per cento dei comuni (dati Istat) si trova in zone difficilmente accessibili e non supera i mille abitanti (i cosiddetti “comuni polvere”), l’esempio del piccolo Comune piemontese rappresenta una concreta alternativa.

Ma come ci dice il Prof. Trinchero, il “modello Verrua Savoia può essere realizzato anche in contesti più grandi. Il problema principale è che un numero elevato di associati (ad esempio 1000-1500 unità) richiederebbe una gestione continuativa, difficile da gestire con il volontariato. Più realistica sarebbe la creazione di associazioni di quartiere, che acquistano banda in gruppo e la ridistribuiscono su una zona limitata, con risparmi potenzialmente superiori a quelli di Verrua Savoia, visto che non sarebbe necessario trasportare banda in zone remote”.

Il modello di Verrua Savoia non aspira a sostituirsi ai tradizionali provider di internet, ma dimostra come le iniziative dal basso possano sopperire in modo efficace alla carenza di investimenti statali o privati, riducendo il “digital divide” sia all’interno del paese che con gli altri stati europei.


[1] Per una panoramica degli obiettivi dell’ “Agenda Digitale Europea per il 2020” si può consultare il seguente link: http://ec.europa.eu/digital-agenda/about-our-goals

[2] Per consultare il rapporto si veda il seguente link http://www.akamai.com/stateoftheinternet/

[3] Di seguito si trova il link dell’Associazione: http://www.senzafilisenzaconfini.org/