Il suo amore per la Repubblica, il suo stile alieno da ogni forma di demagogia

“Nella vita ho amato solo voi, il mio Paese e te…” L’accorata dichiarazione d’amore è di Alfredo Reichlin a sua moglie, Luciana Castellina. Al capezzale dello storico partigiano, i figli, Lucrezia e Pietro, non trattengono le lacrime per un uomo che ha servito la famiglia e la Nazione con struggente coraggio, sapiente competenza e radicato progresso.

Alfredo Reichlin scompare a 91 anni, lasciando la Sinistra italiana abbacinata nella propria confusione, incapace di ravanare soluzioni comuni a scissioni ideologiche.

Nato a Barletta da Pietro ed Elisabetta Lauro, Alfredo si trasferisce a Roma all’età di cinque anni. Nella Capitale troverà occasione di partecipare alla Resistenza, aderendo ai Gruppi d’Azione Patriottica (GAP). Nel 1944 viene catturato dai fascisti e, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, supporta Palmiro Togliatti lavorando come vicesegretario nella Federazione Giovanile Comunista Italiana.

Direttore de l’Unità dal 1958, abbaccia le posizioni estremiste di Pietro Ingrao ma, quando l’attrito fra la politica di Ingrao e il pensiero di Togliatti diventa insanabile, viene allontanato dalla redazione del giornale e sostituito da Mario Alicata.

Segretario Regionale del Partito Comunista Italiano in Puglia, lotta, in pieno clima sessantottino, fiancheggiato da Enrico Berlinguer, per la questione meridionale. La sua costante preoccupazione per “la cosa pubblica” lo porterà a frequentare, per tutta la vita, aule parlamentari. Ministro dell’Economia dal 1989 al 1992, Reichlin ha traghettato i suoi uomini lungo le naturali trasformazioni di un partito sorto come PCI, cresciuto come DS e riveduto e corretto sotto il nome di PD.

Alfredo Reichlin ha sostenuto il tricolore senza piaggeria, con uno stile, se non capace di arginare la deriva capitalistica, lontano dalla demagogia, e con un amore per Repubblica grande almeno quanto quello per la propria famiglia.