“SULLA SCENA FACEVO TUTTO QUELLO CHE FACEVA FRED ASTAIRE, E PER DI PIÙ LO FACEVO ALL’INDIETRO E SUI TACCHI ALTI”

(Ginger Rogers)

Non siate mai folla, perché la folla è folle e sceglie sempre Barabba.

Sapete, vero, che hanno condannato Gesù Cristo, così, in luogo di un ladrone?

Mi permetto di darvi questa notizia sperando che la metafora porti alla comprensione di quanto le lungaggini storiche, ma ben studiate, dei nostri politici abbiano plasmato una generazione di ignoranza che ha portato al comando questo governo il quale, di certo, non governa a nome mio.

“Rivendicare l’autodeterminazione della donna è sbagliato”, recita il manifesto leghista per l’8 marzo, con tanto di mimosa e nastro rosa. È sbagliato: vorrei tanto sapere secondo quale assioma incontestabile!

Intanto auto-determinazione: meno male che certe donne abbiano aperto la porta dell’autodeterminazione, perché senza l’autonoma iniziativa, difficilmente sarebbero riuscite nell’intento. È appena il caso di sottolineare che autonomia è sinonimo di coraggio, in certe circostanze.

Lo stesso audace coraggio che non solo ha scritto innumerevoli pagine di storia,  ma ha fatto di quelle pagine una molla che deve aver scatenato paura ed apprensione nella lobbie di quegli uomini che vogliono averne il controllo. Mi domando: potessero ci manderebbero tutte allo sterminio?

Temo di sì, salvo il fatto che sanno bene quello che secondo loro siamo. Quello e solo quello: otri per la conservazione della specie. Ma attenzione alla variabile impazzita: “le” otri hanno il cervello, non va bene e non era previsto. Lo usano, lo usano bene, necessita una nuova narcotizzazione della specie, fatta prima di generazioni sempre meno preparate e poi di minacce silenti, a doppio taglio.

Quelle avvisaglie che vessano il pensiero.

Bene, dunque, che crescano intere schiere di fashion-blogger: bambole gonfiabili e/o gonfiate, pronte all’uso con il quoziente intellettivo delle galline scuoiate. Quello cercano: azzerare il rispetto, mercificare, soggiogare, per poter padroneggiare e comandare secondo la loro esclusiva logica. Quella del padrone che possiede la pecora, pupazzetto di poco conto.

Non starò qui a riprendere una per una le frasi di quel manifesto, perché ritengo che di fondo ciò che vogliono sia che se ne parli, bene o male, purché se ne parli.

Piuttosto sto qui a dire che anche la categoria “donne” è una categoria e quindi crea muri.

Non sto qui a fare propaganda antiviolenza: sono qui, piuttosto, ad urlare che una donna non è nemmeno donna. L’auotodeterminazione a cui bisognerebbe fare sano riferimento è un’altra.

La donna, prima di essere donna, è Persona!

Lo ha dimostrato nei secoli di non avere nulla da invidiare ai carichi di testosterone e le donne della storia non hanno bisogno delle mie parole perché sia chiara, chiarissima, la loro opera!

Io parlo piuttosto per le Persone! Quelle che devono e possono vedere riconosciuto il diritto di essere ciò che sono: individui degni e portatori di diritti e di doveri senza che nessuno debba o possa permettersi di poter pensare a loro come oggetti di possesso ed ossessione. Né, tantomeno, pensare a loro come “portatrici di una missione”.

Nessuna donna, nessuna, ha una specifica missione o un “ruolo naturale”. Non come quel manifesto le intende, permettendosi anche di puntare il dito contro altre categorie: categorie su categorie.

Le missioni sono specifico dovere di tutti: e se la donna ha anche il ruolo naturale di procreare, questo dovrebbe sposarsi e con il concetto che possiede un cervello, ahimè, biologicamente riconosciuto più capace di collegamenti fra neuroni. Non ho detto migliore, ma dico diverso e più veloce.

Orbene, se il numero di neuroni presenti nei lobi temporali maschili è maggiore, quei neuroni sono capaci di connettersi solo con i colleghi dello stesso lobo. Devono fare una cosa per volta.

Per una donna non è così: le connessioni neuronali sono moltiplicate perché riescono a connettere un lobo con l’altro e possono cogliere così la sfumatura di un tono, arrivare prima alla fine di un discorso, fare dieci cose insieme.

È biologia questa, non narrazione.

Allora le donne che non si sentiranno offese da quella locandina, devono essere quelle già soggiogate da una cultura di bassa-lega. Le altre saranno pronte ad indignarsi senza neanche metterci troppo il pensiero, impegnate a fare i fatti.

Quegli uomini? Devono fare una cosa per volta. E se devono scegliere la grafica del manifesto, non possono anche pensare a quello che dicono.

Peggio mi sento se pensarlo, poi implica comprenderlo.

No, non sento di poter essere magnanima con una politica che strumentalizza l’ignoranza.

Sono una persona, la ventitreesima coppia dei miei cromosomi è una X e quindi posso procreare, ho molte connessioni neuronali, non posso accettare in alcun modo nessuna di quelle parole.

Offesa. Così mi sento. Offesa.

Da un governo che non ho scelto, dalla popolazione che lo sostiene, dalle donne che lo inneggiano, da chiunque leda l’altrui dignità sulla scorta di una presunta forza più o meno fisica, fatta di ignobili briciole che, per dirla con Mina, “l’orgoglio tiene su”.

Vergogna!


Articolo precedenteIL MANIFESTO DI PILLON: la mediazione obbligatoria
Articolo successivoViolenza sulle donne: parole da non dire
Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.