Moro non è stato ucciso solo dalla Brigate Rosse…

“Meditate che questo è stato”, come ammonisce Primo Levi.

Quaranta anni fa, il 16 marzo 1978, poco prima delle 9 di mattina, a Roma, via Fani all’angolo con via Stresa, un gruppo di terroristi delle Brigate Rosse, armato di mitragliette, massacra la scorta di Aldo Moro. Cadono gli agenti Domenico Ricci (42 anni), responsabile della sicurezza, Raffaele Iozzino (24 anni), Oreste Leonardi (52 anni), Giulio Rivera (24 anni) e Francesco Zizzi (30 anni). Il presidente della DC, che rimane illeso, viene “rapito”. Il 9 maggio, dopo una prigionia di 55 giorni, Moro sarà vigliaccamente ucciso. L’autovettura con il corpo crivellato di colpi dello Statista venne abbandonata nel cuore della Roma politica, in via Caetani, nei pressi di piazza del Gesù (sede della Democrazia Cristiana) e di via delle Botteghe Oscure (sede del Partito Comunista Italiano).

Ricordare dobbiamo, possiamo persino parlare di un diritto di ricordare, secondo la tesi illustrata (da ultimo) nel saggio di Ambrosoli e Sideri[1]. Fatti come il “caso Moro” elidono il diritto all’oblio, non diventano mai “privati”. Ricordare dobbiamo, abbiamo il diritto di ricordare, sussiste un interesse pubblico alla memoria che prevale sempre sul diritto del singolo individuo a non essere più ricordato.

Fosse solo per questo maggiore attenzione meritavano i lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, istituita nel 2014 (l. n. 82) con il duplice scopo di «accertare eventuali nuovi elementi che possono integrare le conoscenze acquisite dalle precedenti Commissioni parlamentari di inchiesta sulla strage di Via Fani, sul sequestro e sull’assassinio» del Presidente della DC e di fare luce sulle responsabilità «riconducibili ad apparati, strutture e organizzazioni comunque denominati ovvero a persone a essi appartenenti o appartenute».

In questa articolata prospettiva, la relazione conclusiva lumeggia diversi aspetti finora in parte o in tutto inesplorati della vicenda, che proverò ad “evocare” cursoriamente: una lettura coordinata dei documenti programmatici delle Brigate rosse e delle informative che provenivano dal Medio Oriente avrebbe consentito di individuare una specifica necessità di tutelare la persona dell’onorevole Moro con le massime misure di sicurezza. «L’inefficace protezione non è dunque imputabile solo a carenze degli apparati di polizia, ma ad una più generale incapacità politica di cogliere il rischio prodotto dalle Brigate rosse, alla quale non furono estranee ambiguità di singoli esponenti della politica, della magistratura e degli apparati».

La Commissione, inoltre, segnala l’individuazione, nella zona della Balduina, di un complesso, di proprietà dello IOR, che ospitò nella seconda metà del 1978 Prospero Gallinari e che era caratterizzato dalla presenza di prelati, società statunitensi, esponenti tedeschi dell’autonomia, finanzieri libici e di due persone contigue alle Brigate rosse. Questo stabile – adombra la relazione conclusiva – potrebbe essere stato utilizzato per lo spostamento di Moro nelle fasi immediatamente successive al sequestro ma non è da escludere che, per un certo periodo, sia stato anche la “prigione” dello Statista salentino.

Un altro elemento che si evidenzia con chiarezza – osserva la Commissione – «è che non si intravede una regia unica tra i protagonisti attivi o omissivi della vicenda Moro. Emerge, al contrario, come si sia innestata sull’operazione militare delle Brigate Rosse l’azione di una pluralità di soggetti, che per ragioni diverse, influirono sulla gestione e tragica conclusione della vicenda». In questo contesto, è certa – si legge nel documento conclusivo della Commissione – «la presenza di persone legate alla P2 in diversi ambiti istituzionali, dai Comitati di crisi istituiti presso il Ministero dell’interno, ai vertici dei Servizi e della Forze di Polizia, alla Magistratura, come pure l’evidente permanere, all’interno degli apparati, di appartenenti a strutture che in alcuni casi … rispondevano a plurime fedeltà».

Allo stesso modo, la relazione segnala la presenza, in diversi snodi della vicenda, di personaggi legati alle organizzazioni criminali. Appare emblematico in tal senso il coinvolgimento del bar Olivetti di via Fani in dinamiche criminali ‘ndranghetiste e di traffico di armi, di contatti con la malavita settentrionale e romana.

I lavori della Commissione inoltre sottolineano con decisione la dimensione “mediterranea” del sequestro: gli «approfondimenti sul ruolo dei movimenti palestinesi e del centro SISMI di Beirut hanno consentito di gettare nuova luce sulla vicenda delle trattative per una liberazione di Moro e sul tema dei canali di comunicazione con i brigatisti, ma anche di cogliere i condizionamenti che poterono derivare dalla collocazione internazionale del nostro Paese e dal suo essere crocevia di traffici di armi con il Medio Oriente, spesso tollerati per ragioni geopolitiche e di sicurezza nazionale. È stato inoltre possibile inquadrare l’azione delle Brigate rosse all’interno di un più vasto “partito armato”, composto da diverse formazioni terroristiche italiane, che faceva parte a pieno titolo del terrorismo internazionale di sinistra e non si riduceva a una dimensione puramente nazionale».

Moro non è stato rapito e ucciso solo dalle Brigate Rosse; Moro è stato rapito e ucciso anche dalla Brigate Rosse, intorno alle quali e forse anche al loro interno si muoveva «un più vasto tessuto di forze che, a seconda dei casi,  operarono per una conclusione felice o tragica del sequestro, talora interagendo direttamente con i brigatisti, più spesso condizionando la dinamica degli eventi,  anche grazie alla presenza di molteplici aree grigie, permeabili alle influenze più diverse».

[1] Diritto all’oblio, dovere della memoria. L’etica nella società interconnessa, Bompiani, 2017.


2 COMMENTI

  1. La morte di Moro è un evento dettato dalla “Ragion di stato” e come tale, anche se non voluta da tutti, necessariamente condivisa. Quando spariscono le “borse” (vds anche altri casi come Falcone, Ultimo … solo per citarne alcuni) il volere “del dover fare” non è mai unilaterale!!! È una logica che fa parte dei “sistemi”. Le convergenze parallele in realtà, pur se ottime come esercizio politico, non avrebbero potuto trovare applicazione pratica per via di interferenze esterne che allora “calmieravano” i governi dei singoli stati. E non è detto che non sia ancora così.

  2. “Traditio Domini”tra Tradizione e Tradimento

    A Monreale, in un bellissimo mosaico, nel quale viene presentato il tradimento di Giuda, vi si trova una scritta: “Traditio Domini”. La parola traditio significa “Trasmissione” è la parola latina che traduce il termine, usato spesso, “Tradizione”. Nella Chiesa la ” Tradizione” è l’insegnamento autentico del Vangelo e del Magistero, che è appunto la trasmessione autorevole della giusta dottrina, autorevolmente interpretata. Ma “traditio” ha anche il significato di “tradimento”; Cristo infatti fu ” trasmesso” da Giuda nelle mani dei suoi uccisori. Su questo si potrebbero fare numerose riflessioni, su come si può trasmettere l’autentica verità o tradirla allo stesso tempo. Non a caso Giuda era un apostolo, i quali erano chiamati a trasmettere il messaggio di Gesù al mondo.
    Mi è venuta in mente questa scritta pensando al grande Aldo Moro, il quale è stato “traditio homini”. Lui, uomo di Stato, è tradizione autentica della politica o tradito dalla stessa? Oggi, politicamente, è un riferimento o, comodamente per tutti, una felice eccezione da tenere lontano? Giuda, amato, tradisce. La politica che Aldo Moro ha amato, ha permesso la sua morte? Uccidere è anche permettere o facilitare la morte! Giuda non ha ucciso Gesù, ma ha permesso la sua morte con il suo tradimento. Qualcuno ha detto che prima si uccidono i profeti e dopo gli assassini innalzano monumenti. Cosa si sta facendo nei confronti di Aldo Moro? Si cerca la veritá o la comoda mitizzazione che lascia ognino nel proprio recinto? Mi auguro che Aldo Moro non diventi un mito da tradire, ma il modello di uomo e di politico da trasmettere. Auguro a tutti ed ad ognuno di poter comprendere che certe verità o si trasmettono con autorità o si tradiscono nella viltà.

    Salvatore Sciannamea

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