«Signor Presidente, tra i diversi beni necessari allo sviluppo di ogni collettività, il lavoro si distingue per il suo legame con la stessa dignità delle persone, con la possibilità di costruire un`esistenza dignitosa e libera. In special modo, la carenza di lavoro per i giovani diventa un grido di dolore che interpella i pubblici poteri, le organizzazioni intermedie, gli imprenditori privati e la comunità ecclesiale, perché si compia ogni sforzo per porvi rimedio, dando alla soluzione di questo problema la giusta priorità»: a parlare non è un leader sindacale o di partito; a rivolgere questo accorato appello è Papa Francesco nel suo discorso ufficiale indirizzato al presidente della Repubblica Mattarella, in visita di Stato in Vaticano.

Non si sa se essere più contenti o amareggiati del fatto che debba essere un pontefice a difendere il diritto al lavoro, in particolare quello dei giovani e delle donne. A questo proposito, ecco le sue parole, pronunciate due giorni fa, in occasione dell’udienza generale del mercoledì, in Piazza san Pietro: «Perché per le donne è scontato che devono guadagnare di meno degli uomini? No, lo stesso diritto! La disparità è un puro scandalo».

1 maggio, festa dei lavoratori o dei disoccupati? Dei giovani senza lavoro o di quelli che sono costretti ad emigrare? Delle donne emancipate o di quelle sfruttate e malpagate?

Piacerebbe che a rispondere a queste domande, con tutto il rispetto, non fosse quel “no global” di papa Francesco. Piacerebbe che le risposte venissero dal Governo. Piacerebbero che fossero poste, in termini concreti e propositivi dai sindacati.

E invece vediamo un Governo che annaspa e che, ad esempio, sul fronte del ddl “Buona Scuola”, è riuscito ad animare una contestazione che la Scuola non conosceva da decenni, gettando nel panico decine e decine di migliaia di precari.

E invece vediamo dei sindacati che sembrano più interessati a cavalcare l’onda della contestazione che non a tracciare una strada laddove non c’è ancora per difendere davvero i diritti dei lavoratori e non preoccuparsi solo, o prevalentemente, di fare incetta di tesserati.

1 maggio, festa dei lavoratori: si può far festa senza lavoro? E si può essere costretti a lavorare così tanto da non poter mai fare festa? O non siamo forse travolti da un lavoro sempre più frenetico e, peggio ancora, da una ossessiva ricerca del lavoro che non c’è?

Come parlare di festa a chi non conosce il riposo nel giorno di festa né in quello feriale? Come parlare di festa a chi non può mangiare il pane guadagnato con il proprio sudore perché non gli viene offerta l’opportunità di farlo o perché succube di un lavoro precario?

Interrogativi sempre più drammatici e insistenti, anche nel mondo cosiddetto ricco e gaudente, dove in realtà ricchezze sempre più grandi si concentrano nelle mani di sempre più pochi privilegiati vincenti del momento, mentre si allarga la fiumana dei disperati travolti dal cosiddetto “progresso”.

Amara e singolare parabola (discendente?) dell’umanità. L’uomo contemporaneo idolatra efficienza e lavoro, ma trova sempre meno lavoro a misura d’uomo. Così come celebra con sempre maggiore enfasi il culto del tempo libero, ma sembra aver smarrito il senso della festa.

Quello su cui però non vi può essere dubbio è la doppia necessità di liberare il lavoro e di liberare dal lavoro: liberare il lavoro, per chi non ce l’ha o per chi lo vive in condizioni soffocanti, perché possa essere vissuto con gioia e benedizione; liberare dal lavoro, per chi vive di solo lavoro, per ritrovare il senso e il gusto della festa.

1 maggio, festa dei lavoratori: auguri a tutti, a chi cerca il lavoro e a chi ne ha troppo e potrebbe/dovrebbe lasciare un po’ di spazio a chi non ne ha.